(né) in sala (né in tv)

Sesso, bugie e specchi: DIETRO I CANDELABRI di Steven Soderbergh

dietro i candelabri (3)

REGIA: Steven Soderbergh
SCENEGGIATURA: Richard LaGravenese
CAST: Michael Douglas, Matt Damon, Scott Bakula
NAZIONALITÀ: USA
ANNO: 2013

Tratto dal romanzo autobiografico Dietro i candelabri. La scandalosa vita di Valentino Liberace, il più grande showman di tutti i tempi di Scott Thorson, che racconta la storia di amore e passione dell’autore, all’epoca diciottenne, con il musicista stravagante e kitsch Liberace, che di anni ne aveva 58. Una relazione durata dal 1977 al 1982. Liberace ha sempre smentito, a suon di querele, ogni rumor che metteva in dubbio la sua eterosessualità. E le cause della sua morte, avvenuta nel 1987 per AIDS, furono a lungo tenute nascoste. 

Sembra che la figura di Soderbergh rappresenti una scheggia impazzita, costruita ad arte per demolire ogni residua ipotesi di sopravvivenza della politique des auteurs. Questa almeno è l’opinione diffusa su un regista che passa con esibita disinvoltura dai blockbuster della serie Ocean ai film sperimentali incomprensibili come Schizopolis. In realtà non c’è film come Dietro i candelabri che prosegua dei discorsi aperti, chiuda dei cerchi, si inserisca in modo complementare con altre opere, all’interno della filmografia del regista. 

Sesso e bugie, senza videotapes. Non siamo ancora nel mondo del voyeurismo della telecamera, della sublimazione in essa della sessualità che qui è ancora una cosa privata, che non si dichiara pubblicamente, anzi la si nasconde e nega. Soderbergh chiude un cerchio nel porsi a un capitolo precedente del suo film d’esordio, che appare a maggior ragione sempre più paradigmatico della sua carriera a venire, Sesso, bugie e videotape datato 1989, due anni dopo la morte di Liberace per AIDS. Ma la sessualità non è ancora nemmeno quel business, come sarà negli anni duemila/duemiladieci di The Girlfriend Experience e Magic Mike, che la priverà di ogni residua autenticità, per farne solo un vuoto simulacro, governato da fredde logiche di mercato e manageriali. La sessualità all’epoca di Liberace era ancora trasgressione.

Chi era Władziu Valentino Liberace? Un uomo di origine umile, un americano spurio, nato in America da padre italiano e madre polacca, come il suo compagno di origine svedese. Un uomo estremamente eccentrico, tutto lustrini e pailettes, sia nella vita pubblica che in quella privata. Un uomo che compensava con una smisurata opulenza, e con una vita dedita agli eccessi più sfrenati, un’infanzia nei sobborghi, fatta di stenti e difficoltà. Soderbergh calca poi la mano sugli specchi, disseminandoli nel film. Erano l’ossessione di Liberace, un modo per moltiplicare e amplificare la propria immagine, in nome del suo smisurato ego, ma anche un modo di riprodurre le immagini in luogo dei videotape.

«L’Amore, che non osa dire il suo nome in questo secolo, è il grande affetto di un uomo anziano nei confronti di un giovane, lo stesso che esisteva tra Davide e Gionata, e che Platone mise alla base stessa della sua filosofia, lo stesso che si può trovare nei sonetti di Michelangelo e di Shakespeare… Non c’è nulla di innaturale in ciò» così diceva Oscar Wilde al suo processo. Liberace non ebbe nemmeno questa possibilità liberatoria. Il suo è un autentico amour fou che va contro le regole morali, non tanto, si badi bene, della società dell’epoca ma della società dello spettacolo, che impone un’immagine, e per la quale un’omosessualità dichiarata avrebbe comportato un danno economico (ancora, in negativo, la correlazione soderberghiana tra sesso e business). E così il musicista querelava tutti i giornali che mettevano in dubbio la sua eterosessualità. Qui Soderbergh raggiunge il suo obiettivo: la contraddizione nella società dello spettacolo, al cui studio il regista aggiunge un nuovo tassello, tra essere e apparire, tra ciò che si è davvero e ciò che si deve essere per il pubblico. E si diverte a usare attori di un campionario machista, come Matt Damon, o chi ha fatto della sua eterosessualità declamata la propria bandiera, come Michael Douglas, che molti ricorderanno per Attrazione fatale e Basic Instinct. Icone degli anni ottanta come Dan Aykroyd e Rob Lowe. Quest’ultimo è stato peraltro il primo uomo di spettacolo a essere coinvolto in uno scandalo per un videotape pornografico: correva l’anno 1988.

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