PUBLIC ACCESS di Bryan Singer

REGIA: Bryan Singer
SCENEGGIATURA: Christopher McQuarrie, Bryan Singer, Michael Feit Dougan
CAST: Ron Marquette, Bert Williams, Dina Brooks, Leigh Hunt, Larry Maxwell
NAZIONALITÀ: USA
ANNO: 1993

THE STRANGER

Il Male in quanto componente fondamentale dell’essere umano, quel lato oscuro che inevitabilmente emerge nonostante lo si costringa entro dei limiti morali: questo è sempre stato il territorio d’indagine prediletto da Bryan Singer, dalla geniale rappresentazione della figura diabolica e mitizzata di Keyser Söze nel suo secondo lungometraggio, il celeberrimo I Soliti Sospetti , passando per il maligno assoluto del nazismo che farà da sfondo a L’Allievo e, successivamente, a Operazione Valchiria. Questo Public Access, film d’esordio del regista newyorkese che lo vede anche nelle vesti di co-sceneggiatore insieme a Christopher McQuarrie, che diverrà suo sodale nelle opere migliori, e in quelle di produttore esecutivo, getta il seme per quella che sarà la sua poetica futura, presentandone, in nuce, le tematiche fondamentali: realizzato nel 1993, dunque solo due anni prima del successo mondiale de I Soliti Sospetti, inedito in Italia e vincitore del Gran Premio della Giuria al Sundance (a pari merito con Ruby In Paradiso, di Victor Nunez), quest’opera prima può essere considerata una sorta di “prova generale” in vista del lancio definitivo. Public Access non nasconde le proprie pecche, evidenti in un’ingenuità eccessiva e in qualche momento tecnicamente maldestro, per quanto sia già in grado, nonostante il budget ridotto, di mettere in luce l’innato talento di Singer nei movimenti di macchina, che pedinano e scrutano i personaggi, nei punti di vista insoliti (il bicchiere ripreso dall’alto a distanza ravvicinata) e nel saper creare, in determinati momenti, una tensione che si taglia con la lama di un coltello.

L’ambiguo Whiley Pritcher (non casuale l’assonanza col termine “preacher”, predicatore, interpretato da Ron Marquette), che giunge a Brewster, volutamente stereotipata e idilliaca cittadina americana, per farne emergere gli scheletri celati dietro ad apparenze troppo perfette, è il primo esempio nel cinema singeriano di quella malignità umana che si maschera essa stessa sotto mentite spoglie, in un narrato dove nulla è ciò che sembra. Un costante gioco del doppio, nel quale Pritcher conduce un programma televisivo locale dal titolo “Our Town”, ponendo agli spettatori un quesito semplice ma tagliente: «What’s wrong with Brewster?» – cosa c’è che non va a Brewster? L’elemento estraneo, dunque, si insinua in una comunità apparentemente compatta seminando discordia e dissimulando la propria reale natura, un giovane di bell’aspetto e dalle idee liberal dietro al quale si nasconde un individuo completamente diverso. L’oscurità dell’animo umano è qui rappresentata in modo duplice e per certi versi specularmente opposto: la seducente figura di Whiley, che tenta di far emergere il marcio, e gli abitanti di Brewster, che difendono la loro facciata di ipocrisia e benessere, in un luogo che si dichiara a tasso zero di disoccupazione e crimine, dove in realtà un insegnante viene licenziato per sospetta omosessualità e il sindaco porta avanti i propri intrallazzi speculativi. Brewster non è ciò che appare così come non lo è lo stesso Pritcher, in una messa in scena sottesa da una perenne inquietudine, volta a disorientare lo spettatore usando l’arma del dubbio, altra caratteristica che diventerà perno delle opere successive.

Il meccanismo, tuttavia, talvolta si inceppa, in alcuni tempi morti e qualche manicheismo di troppo, ma la sostanza, la linfa vitale di Public Access  resta quella di un thriller drammatico che è crisalide di ciò che il cineasta riuscirà a concepire in un futuro già prossimo. Da sottolineare, nello score, il pezzo charleston, a fare da contrasto al narrato, Rachel My Dear, cantato da Ted Raimi.

Un buon esordio che è solo l’inizio di un percorso fuori dal comune, segnato da vertici altissimi e qualche caduta, un film in ogni caso prezioso per comprendere appieno la poetica di un autore che non ha mai smesso di scrutare nelle stanze buie di quel non-luogo chiamato anima. 

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