PHENOMENA di Dario Argento

REGIA: Dario Argento
SCENEGGIATURA: Dario Argento, Franco Ferrini
CAST: Jennifer Connelly, Daria Nicolodi, Donald Pleasence, Dalia Di Lazzaro
NAZIONALITÀ: Italia
ANNO: 1985
USCITA: 31 GENNAIO 1985 

LA BAITA DEI MASSACRI

Anche nelle baite sperdute delle verdi valli svizzere incontaminate, quelle stesse delle pubblicità di cioccolato al latte o di caramelle balsamiche, ci possono essere scheletri nell’armadio, o meglio, in grandi pozze nello scantinato. Argento, al suo nono film, sempre in cerca di nuove frontiere in cui far annidare il terrore, rigenera in territorio elvetico il suo cinema e le sue ossessioni. Grandi prati verdi, stradine di campagna percorse dai tipici autopostali, cascate, funicolari. E soprattutto il vento, tanto vento, il phon delle Alpi. Se Tenebre era incentrato sulla luce, Phenomena lo è sul vento. Uno scenario idilliaco, esaltato dalla musica di Bill Wyman. E, a contrasto, il severo edificio del collegio, un istituto austero e mefitico, proprio come il suo omologo in Suspiria, asettico ma dalle cui crepe possono uscire larve di mosche a infestarlo. Ma un istituto che già dal nome, Wagner, e da quello della sua istitutrice, Bruckner, rievoca quell’atmosfera romantica che aleggia nel film.

In questo contesto la casa del bambino urlante di Profondo rosso diventa uno chalet alpino, dove ci sono ancora dei bambolotti, ma dove gli specchi sono oscurati per paura che diventino nuovamente dei quadri dell’orrore. Non è uno dei luoghi popolati dalle Tre Madri, ma una quarta madre potrebbe essere identificata nella “Grande sarcofaga”, la mosca che si nutre di cadaveri umani. E un personaggio del film spiega che quella è la Transilvania della Svizzera, conferendole così una lugubre aurea.

La protagonista, Jennifer, omologa della Susy di Suspiria, come quest’ultima detestata dalle odiose compagne di collegio, assiste a un omicidio senza scorgerne il colpevole. Stavolta però la soluzione del giallo non giungerà dalla messa a fuoco dei suoi ricordi. L’investigazione nel film procede per due vie, quella entomologica e quella parapsicologica. Stavolta sembra avvicinarsi a un’indagine tradizionale che studia i referti, come il guanto nero ritrovato. L’entomologo sta per avvicinarsi alla soluzione dell’enigma ma viene ucciso. Sono gli insetti comunque a fornire la chiave di svolta: seguendo il volo di una mosca, che praticamente l’accompagna, Jennifer arriva nel luogo cruciale. L’empatia, che la ragazza stabilisce con gli insetti, le permette di arrivare prima dell’ispettore, stavolta più puntiglioso dei soliti inetti dei film di Argento, un autentico svizzero.

Ancora un cinema della visione. Argento si inventa la soggettiva della coccinella e poi della mosca attraverso uno schermo diviso in sei parti, una visione moltiplicata. E Jennifer vede la scena del delitto attraverso l’immagine che carpisce per via parapsicologica, fissata nel ricordo, della larva. Il ribaltamento della situazione di 4 mosche di velluto grigio. E mai come in questo film tanti personaggi sono aggrediti alle spalle, sopraffatti perché il loro carnefice agisce fuori dal loro campo visivo. Uccisioni da dietro che contrassegnano la classica sequela argentiana di falsi finali: si arriverà ancora al compimento dell’ecatombe. A sopravvivere saranno la virginale Jennifer e un animale, lo scimpanzé Inga. Ma il rasoio con cui quest’ultimo ha eliminato l’assassina, giungendo provvidenzialmente come deus ex machina, è proprio come quello di Tenebre, di cui Argento ci aveva mostrato il trucco. Il terrore potrebbe non essere finito e solo i fan del regista lo sanno.

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