INNOCENTI BUGIE di James Mangold

REGIA: James Mangold
SCENEGGIATURA: Patrick O’ Neill
CAST: Tom Cruise, Cameron Diaz, Peter Sarsgaard
ANNO: 2010

IL DOMANI NON MUORE MAI

Affogare negli psicofarmaci più suicidali (Ragazze interrotte, 1999), perdersi nei meandri del tempo non poi così romantici (Kate & Leopold, 2001), sdoppiarsi in scene sanguinose così fottutamente dark (Identità, 2003), riconoscere tutto questo in un’unica icona mai così azzeccata (Walk the line, 2005), e l’inevitabile processo che diventa processarsi, in una sorta di payday dove le droghe collidono e si diventa prima super-eroi e poi cartoni animati in stile Silly symphoniesperché ormai privi di una dimensione tattile, infinitamente insensibili perché invincibili: siamo ad oggi, Innocenti Bugie, 2010. Il Cinema di James Mangold è diventato gioco pirotecnico in cui smettere di essere carne per schematizzarsi fluo ovvero fumo ectoplasmico di un racconto non racconto bensì catene di sequenze senza tempo, in un post-moderno scolorito nel suo troppo colorirsi. E’ questa la forza e la debolezza di Innocenti bugie: è così priva di consistenza da essere quasi concettuale. Da prendere, semplicemente, come un episodio di Wile E. Coyote e Road Runner: divertente e illimitato nelle possibilità di rendersi fracassoni ed esplosivi, ma proprio per questo evanescenti perché privi di sangue. Mangold costruisce sequenze d’action antologiche, fa saltare in aria tutto come stesse dirigendo un nuovo episodio di Mission Impossible feat. Godzilla, attraversando ogni tipo di location possibile (inseguimenti a piedi, in moto, in macchina, in treno, in aereo, e chi più ne ha ne emetta) ed esattamente come un Silly symphony, nessuno pare mai farsi del male realmente. In Innocenti bugiesono tutti personaggi di Dragon Ball, sempre belli carismatici e pettinati (non è a caso la scelta di due star come Tom Cruise e Cameron Diaz), e tutto ciò è fottutamente cool, persino divertente, almeno quanto lo è andare sulle montagne russe. Eppure, questo è anche il problema del film di Mangold: ha la stessa consistenza (e durata) di una giostra del luna-park; una volta scesi dal velivolo, è difficile ritrovarsi qualcosa in più di un leggero brivido euforico. A mancare in Knight and Day sono esattamente i motore stessi dell’emozione, ovvero la sofferenza, il dramma, la catarsi. In un mondo dove nessuno si fa realmente male, non c’è più il rischio, e senza rischio non può esserci scintilla. Così il film scorre con tanto rumore e dinamismo, instancabile come un robot, freddo come il metallo, anestetizzato come un farmaco.

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