AMERICAN LIFE di Sam Mendes

Regia: Sam Mendes
Sceneggiatura: Dave Eggers e Vendela Vida
Cast: John Krasinski, Maya Rudolph, Maggie Gyllehaal, Chris Messina, Carmen Ejogo
Anno: 2009

NON LA STORIA DI UN AMORE, MA QUELLA DI UNA COPPIA

American Life racconta di due trentenni, due della generazione precaria, immatura e indecisa che la storia del secolo XXI solitamente mette sotto al tappeto o dentro l’armadio, perché tanto non grida a gran voce il suo esistere, il suo esserci, e d’altra parte nemmeno lei è così convinta di esserci. In mezzo a una maggioranza di persone convinte di aver scelto una loro strada, magari solo perché non averla scelta li farebbe sentire in colpa col mondo, con la famiglia, con se stessi per come il mondo credono che li veda (c’han insegnato o no che al mondo importa di noi?), Burt e Verona, i protagonisti del film, una scelta non l’hanno fatta, sono rimasti bambini, contemplano la possibilità di vita solo nel presente, non hanno voglia di crescere; anche quando scoprono di aspettare un bambino (e lo scoprono in una maniera tanto bella che dispiace raccontarla, e quindi ve la risparmio rimandandovi ai primi 3 minuti del film, se vi interessa conoscerla), quando cioè ti aspetti che – come scritto nel manuale dello sceneggiatore – la svolta negli eventi dovrebbe mettere di fronte alla realtà i personaggi, e da questi ci si aspetta solo che trovino il loro modo di omologarsi a questa realtà fatta di suburbia, tagliaerba, steccati dipinti di bianco, buongiorno dati in vestaglia sulla soglia di casa, prima che lui salga sulla sua famigliare con le fiancate in radica, ecco che arrivano le sorprese. Burt e Verona si mettono sulla strada, vogliono provare a vedere se esistono posti in America dove si possano sentire più a loro agio. Scopriranno che non ci sono persone il cui modello possono e vogliono imitare, che a fare i conti con la loro situazione possono essere solo loro.

Sam Mendes ha raccontato spesso di relazioni problematiche e problematizzanti, giocate dai loro attori, dai suoi attori, sul filo delle pulsioni al conformismo e delle tensioni alla libertà. Gliele abbiamo viste raccontare in tante Americhe, in quella post tutto di fine ’90, in quella in guerra di inizio ’90, in quella dei tumultuosi ‘30, in quella ingessata dei ’50, ed erano tutte storie drammatiche, difficili, delicate ma dure. Doveva arrivare una coppia di trentenni e doveva arrivare l’ambientazione nell’America degli anni zero per farci vedere che Mendes sa prendere le cose anche alla leggera, sa parlare anche in tono colloquiale come fossimo davanti al camino tra amici. O forse doveva arrivare una sceneggiatura di Dave Eggers (scritta con la compagna Vendela Vida), con tutti i pregi e i difetti che gli vengono riconosciuti, a instillare freschezza in una visione cupa come quella che aveva lasciato in eredità Revolutionary Road, per ultimo. Away We Go, titolo originale di quel che in Italia esce con più di un anno di ritardo come American Life, è un film piccolo piccolo, senza pretese, realizzato quasi per gioco e con piacere (e si vede), un film che sta lontano dal mainstream e dalle grosse produzioni, ma tiene le sue distanze anche dalle correnti indie-sundance in cui si respira un’aria pesante perché la vita è difficile, il mondo e difficile e le cose sono difficili, soprattutto amare e stare con un’altra persona, in cui spesso e volentieri si vede gente ferita dentro dal passato e dal presente: insomma, American Life è un film fresco, un film in cui i protagonisti, per una volta, non sono un uomo e una donna stanchi di condividere una vita, ma un film su una coppia (Burt e Verona non litigano mai, e quando lei si mostra preoccupata della cosa perché il bambino che porta in grembo se ne sta tranquillo, troppo tranquillo, e il suo cuore batte troppo lentamente, dal cilindro del film escono un paio di scene degne di esser ricordate) che condivide un pezzo di strada e vive all’unisono; qui ed ora, sulle strade dell’America che li ha lasciati ai margini, e capaci di non soffrire di essere fuori dai giochi. L’on the road di Burt e Verona parte per scegliere una casa dove continuare la famiglia dopo che è nato il figlio, ma diventa parte integrante di un percorso di attualizzazione al presente delle istanze di felicità di chi felicità non ha altrove dall’attimo che sta passando, e … ops, ecco che è già passato. Non a caso la loro storia si conclude prima della nascita del bambino (gran scelta di sceneggiatura, anche questa), e non sapremo mai se la monade duale Burt-Verona sarà la stessa o altra una volta diventata triade (famiglia?!). Ma sapete qual è il bello? Il bello è che non ci interessa, che non ce ne poniamo il problema. Non se lo pongono i protagonisti di American Life, non se lo pongono regista e sceneggiatori, poco interessati sia a fare domande che a dare risposte… perché mai noi dovremmo farci i fatti loro?

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