TRON LEGACY di Joseph Kosinski

Regia: Joseph Kosinski
Cast: Jeff Bridges, Garrett Hedlund, Olivia Wilde, Michael Sheen
Sceneggiatura: Adam Horowitz, Eddie Kitsis
Usa 2010

“COS’E’ L’ETERNITA’ SE GLI ANNI ’80 ERA TANTO TEMPO FA”

Fuori e dentro il gioco, ma cosa succede quando il (tempo del) gioco finisce? C’è un evidente complesso nostalgico che attanaglia Tron Legacy: più soddisfacente l’analogico o il digitale? L’informatica nera o le autostrade del cyberspazio? Meglio oggi o quando si stava tecnologicamente peggio? Interrogativi che si trascinano dietro una risposta certa, da anteporre senza paura di fraintendimento alla visione in sala, percorso per certi versi giusto e obbligato ma dalla meta scontata. Il rischio è calcolato, l’esito, purtroppo, spietato: l’amarcord di partenza si trasforma da motore in ganascia, relegando l’ossequioso remake della leggenda a intrattenimento da domenica pomeriggio, divertente tiro al bersaglio intorno alle citazioni sparse e nulla più («L’unico modo per vincere è non giocare» – do you remeber War Games? Bei tempi). Il passato è passato, il presente è una tridimensionale appropriazione indebita privata di quell’innocente e primitiva magia datata 1982, quando Steven Lisberger lanciava i deboli verso la ribellione con obiettivo il potere predefinito, e la Disney si palesava, involontariamente, come trampolino di lancio per pensieri politicamente bellicosi e scorretti. Altri tempi, altro cinema, dove le metafore dovevi andartele a cercare e, alla fine della corsa, ti stupivi di averle trovate, subito dopo aver soffocato un sorriso stupito per quanto veritiere fossero. Di questo Tron resta la culla effettistica, le facili virate zen, il video ludico passaggio dall’adolescenza all’età adulta attraverso gli occhi, il credo e le gesta che muovono la ricerca della verità paterna da parte di un novello John Connor, destinato a combattere la sua guerra all’interno del sistema. Poco, decisamente troppo, visto il peso sacro e specifico che si è deciso di spostare assieme alle dita di polvere lasciate a riposare sulla custodia della vhs. Tante luci, colori diacronici, buoni contro cattivi, programmi vs creativi e un unico attore a tenere alto il nome della baracca (un superbo Michael Sheen), mentre la barca tecnica fa acqua da tutte le parti. Faida ideologica tra apocalitticci nostalgici e integrati a parte, infatti, il vero problema di Tron Legacy risiede in una reiterata serie di errori commessi proprio nei compartimenti stagni all’interno dei quali un kolossal di questo tipo dovrebbe sfiorare la perfezione. Da James Haygood, che nel suo curriculum di montatore fincheriano doc può vantare cronometri di geometria per successione d’immagini del calibro di The Game e Panic Room, tutto ti aspetteresti tranne il maldestro vanificare delle oltremodo pubblicizzate musiche dei Daft Punk; impeccabili se ascoltate traccia per traccia, ma incapaci di amalgamarsi alla scansione superficiale della vicenda. Purtroppo non per colpa loro. Matrix in erba, il primo Tron parlava con largo anticipo la stessa lingua de Il tredicesimo piano: eravamo già dentro qualcos’altro, solo che non ce ne rendevamo ancora conto. Dell’opera di Joseph Kosinski cosa rimane? A volergli fare un complimento la raccolta eredità dell’incompiuto Johnny Mnemonic. Oggi era lecito attendersi di più. Tra 30 anni chissà.

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