SOMEWHERE di Sofia Coppola – Leone d’oro Venezia 2010

REGIA: Sofia Coppola
SCENEGGIATURA: 
Sofia Coppola
CAST: Stephen Dorff, Elle Fanning
ANNO: 2010

IL QUARTO LATO DI UN TRIANGOLO (PORNOIA)

Lost in translation friggeva come sul punto dell’esplodere; Marie Antoinette era i detriti di quell’esplosione (che non è mai stata fatta vedere). Somewherepotrebbe esser solo i detriti di questi detriti, anche detti cenere. 
Sofia Coppola si fa (sempre) meno estetica, ma sempre più disperata: non crea più, accosta: fotografie sul vuoto e dal vuoto. Di tutti. Canzoni da mp3 traboccante e traballante, pop, addormentato: ipotetico (costruttivo) shuffle, effetto sedativo per spazi vuoti, per un hotel, la sabbia, un premiazione tv, una piscina. Sommare un’immagine a una canzone come se invece di un film si trattasse di una compilation tematica, è sempre stato quasi organico nei suoi film, ma qui tutto è ridotto a qualcosa di meccanico, ad un mood della durata di un istante nè esplorato nè corroso, solo copincollato:Somewhere sembra sempre iniziare, coi suoi ostentare staticità e mancanza di filo narrativo o almeno conduttore, con la differenza, appunto, che c’è tra uno shuffle ed un ordine di tracce. Dall’abbondare dei primi minuti di una Ferrari che gira a vuoto nel deserto a Stephen Dorff che si addormenta davanti a una doppia lap dance poche scene dopo; Elle Fanning che pattina sul ghiaccio, le partite (anche fuori campo) a Guitar Hero, alla Wii: assieme incipit, climax e conclusione di un Nulla autoalimentato (del poco che necessita), quando in Lost in translation bastava il sedere addormentato di Scarlett Johansson con il titolo scritto sopra a fare Cinema di tutto quello che Somewhere solo (si) vomita addosso (e) allo spettatore, come se la sua autrice non sapesse che lo “scazzo (da ricchi)” è così intuitivo da necessitare un’envasi straniante, seppur lontano; come anzi i sentimenti in generale, perché, se così non fosse, andremmo tutti a vivere nelle più docili commedie romantiche americane.

Un puzzle schematicamente senza alcuni pezzi, una scacchiera dai colori sbiaditi al posto del nero, arroccata fortezza che getta addosso allo spettatore – in difesa o attacco – solo gli elementi che desidera; senza alcuna esitazione, nel puro esibizionismo. Annoiare per mostrare la noia, o meglio viceversa: Somewhere è pornografia per il sentimento depresso illuminato (patinato) ma non illuminante, dove, al posto delle penetrazioni (che nei porno è l’unica verità messa-in-scena in mezzo al sincero posticcio), il rompimento di palle nei confronti dell’immobilità della vita, mostrato tout court per un percorso interpretativo pari a zero. Una penetrazione che è una penetrazione e nient’altro che una penetrazione, a stimolare (la ricerca di) una nuova penetrazione, reale. Il tedio che è tedio e nient’altro che tedio, a stimolare nuovo tedio, reale (e in questo caso basta pure esser da soli).

Propensione per il suo quarto dipinto di ragazze interrotte inversamente proporzionale, andando verso un grado zero (che qualcuno potrebbe anche chiamare «Massima espressione della sua autrice perché il più sincero, puro» per indicare l’esagerazione egocentrica e di sostanziale incapacità): continua un percorso di fuga dalla sessualità, quanto è più scarna la messa in scena. I più amanti di Kirsten Dunst ne Il giardino delle vergini suicide, un nuovo primo bacio in Lost in translation, un solo innamoramento e tanti vizi in Marie Antoinette, una tween impubere senza alcuna palpitazione inSomewhere. La prossima protagonista sarà una bambina di nove anni che gioca da sola per pomeriggi interi. E la cosa sembra avere senso. 
Sofia Coppola dal condannare ed innalzare a qualcosa-di-supremo allo stesso tempo l’adolescenza e alcuni silenzi (di vita, amore, padri, amanti), sembra passata al cancellarli in via definitiva, togliendo loro qualsiasi sapore, come se già si fosse liberata da qualcosa di personale (in un triangolo imperfetto dato dai film precedenti) come se dei suoi Cinema possibili non le importasse affatto, ma solo dei propri esorcismi, a loro volta vittime di qualche vizio; spoliazione dell’impulso visivo, divenuto insulto quasi osceno.

Perché, in tutto questo, la cosa peggiore non è quanto Somewhere appaia vuoto fuori, quanto invece vuoto dentro, nella più totale convinzione che tutto questo sia corretto.

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