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C’era una volta (ora non più): LA BELLA E LA BESTIA di Christophe Gans

la bella e la bestia (1)

REGIA: Christophe Gans
SCENEGGIATURA: Christophe Gans, Sandra Vo-Anh
CAST: Vincent Cassel, Léa Seydoux, André Dussollier, Eduard Noriega
ANNO: 2014

Domanda: ha ancora un suo perché, oggi, una centesima trasposizione di una fiaba ultrariproposta e reimmaginata? Risposta: sì. Domanda: ha un suo perché una trasposizione di La bella e la bestia come questa realizzata da Christophe Gans? Risposta: no. E ci si potrebbe fermare qui.

Lo sappiamo: le favole, da Andersen a Perrault, dalle leggende folkloristiche ai miti antichi, sono un inesauribile bacino di spunti, stimoli, reinvenzioni, perché oltre ad attingere a un immaginario sempiterno e a un inconscio bisogno di narrazione e di senso, oltre ad aprire la mente, il cuore, la capacità di fantasia e una sorta di sensazione di immortalità, sono in grado ad adattarsi ad ogni tempo – pur essendo senza tempo, anzi proprio per questo.

Di La bella e la bestia conosciamo parecchie versioni e adattamenti, ma di un’idea del genere, così geniale e costruttiva, potremmo non stancarci mai, essendo passibile di essere percepita e pensata come metafora dell’amore eterno, della sindrome della crocerossina e di quella di Stoccolma, della superstizione atavica ma anche delle pulsioni erotiche più selvagge e istintuali. E di molto altro ancora, a seconda di come e di quando viene osservata.

In un contesto di continue trascrizioni “mainstream” delle favole (ultimamente e totalmente in campo hollywoodiano, con poche eccezioni, vedasi Blancanieves), non ci si poteva certo aspettare sperimentazioni coraggiose e inedite (ancora restiamo ipnotizzati da quella, inquieta e artigianale, di Švankmajer col suo capolavorico Alice del lontano 1988). Solo che qui non siamo nemmeno dalle parti della versione lisergica, visionaria e autoironica della Biancaneve di Tarsem, semmai vicini (anzi, stavolta ci va peggio) all’incolore Biancaneve e il cacciatore, pur non raggiungendo il trashume di Cappuccetto rosso sangue e Hansel & Gretel: Cacciatori di streghe (ma almeno con quest’ultimo, a stare al gioco, ci si poteva divertire). Questa sontuosa ri-messa in scena di tale classico in partenza ha qualche freccia al suo arco – due star del cinema francese e un regista interessante – ma in atto almeno una certezza: è indubbiamente in grado di sconfortare persino i fan più accaniti della fiaba.

Gans adempie al proprio compito in maniera impiegatizia, non dimostrando alcun coinvolgimento in quel che racconta; lo script nel primo atto è inspiegabilmente Dussollier-centrico, tra digressioni familiari francamente noiose (la coppia di sorelle frivole e acide: ancora?!) e scelte stridenti (si passa da allusioni sessuali della Bestia alle interazioni di Belle con i pucciosi animaletti del castello, una via di mezzo tra i Furby e i Cuccioli), mentre la regia ondeggia disinteressata dentro scenari barocchi e incantevoli per nulla valorizzati da una sceneggiatura degna.

È poi paradossale che nella favola della Bella e la Bestia a non funzionare sia anche e soprattutto la relazione tra la Bella e la Bestia, trattata in maniera frettolosa e meccanicissima. Peraltro, Belle non riesce nemmeno a vivere della luce riflessa dell’eroina disneyana librofila ed emancipata, mentre il principe peloso – munito di scialbo background – è un felino dalle movenze leonine cgi, a cui preferiamo di gran lunga la “riedizione” moderna, più ambigua e sarcastica, oscura e autolesionista, del Tremotino della serie tv Once upon a time.

Il fatto poi che i “cattivoni” – tra cui gli insulsi e inutilissimi fratelli di Belle – attacchino il castello della Bestia spinti non dalla superstizione e dalla paura/odio per il diverso, ma più banalmente dal vil denaro, è la goccia che fa traboccare il vaso (o meglio: l’ennesima a mancare).

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