LA PELLE CHE ABITO di Pedro Almodóvar

REGIA: Pedro Almodóvar
SCENEGGIATURA: Pedro Almodóvar, Agustín Almodóvar, Thierry Jonquet
CAST: Antonio Banderas, Elena Anaya, Marisa Paredes, Jan Cornet, Roberto Álamo
NAZIONALITA’: Spagna
ANNO: 2011
USCITA: 23 settembre 2011
T.O: La piel que habito

PELLE-CUCITURE-PERFEZIONE(?)

Sulla carta un film folle, impossibile, con un plot contorto e delirante. Solo Almodóvar poteva riuscire, con questa premessa, a realizzare un film funzionante, credibile, dove tutto alla fine sembra tornare al punto giusto.

Ma cominciamo da una scena, quella in cui, all’inizio del film, il dr. Robert, artefice del primo trapianto di volto eseguito in Spagna da un donatore morto, espone in un anfiteatro universitario le sue idee: «Il volto non è lo specchio dell’anima, ma della sua umanità». Si parte quindi da un topos cinematografico già abbondantemente sfruttato, da Occhi senza volto di Franju, a Il volto di un altro di Teshigahara, fino aFace Off di John Woo. Ma per Almodóvar questo tema rappresenta solo il punto di partenza, ben altri trapianti ci dobbiamo aspettare. Poi c’è la sindrome di Stoccolma, un ritorno al tema di Légami!, richiamato anche dalla riesumazione del suo vecchio attore feticcio Banderas, però in una declinazione più sick, e che finisce anche in modo un po’ diverso, come nella versione che di quel film fece, praticamente, la figlia diDavid Lynch (inutile ricordarne il nome essendo giustamente piombata nell’oblio) con Boxing Helena. Proprio come le amputazioni di quest’ultimo film sono mirate a ricreare un’opera d’arte, la Venere di Milo, così il dr. Robert è mosso da finalità non solo di sperimentazione scientifica senza scrupoli, ma anche artistiche. Scolpire il volto della moglie morta su quello della “cavia” è un’operazione che inserisce a pieno diritto il dr. Robert in quella galleria di scienziati pazzi che va dal dr. Frankensein al Rotwang di Metropolis. E naturalmente al personaggio interpretato da Banderas l’esperimento riesce così bene che non può non innamorarsi della sua creatura. La sindrome di Stoccolma è ricambiata con il mito di Galatea: lo scultore che si innamora della sua opera. Aggiungiamo poi il tema del doppio hitchcockiano di Vertigo: cosa fa il dr. Robert, se non, con strumenti più sofisticati, quello che faceva James Stewart, ricreare Madeleine, la donna morta che amava, in un’altra donna. Ma Almodóvar complica un po’ il discorso. Non si tratta di trasformare semplicemente una donna bionda in bruna, troppo facile, ma anche di passare da un uomo a una donna. Vincent diventa Vera, la scienza transgenica assume una funzione transgender e il doppio hitchcockiano, come già in Vestito per uccidere, vira in un’ottica ‘queer’. Vincent/Vera si è così vestito/a di una nuova pelle per uccidere.

Come ciliegina sulla torta, Almodóvar butta dentro anche l’Uomo Tigre, proprio lui, e chiede a Banderas di recitare con le classiche due espressioni, con il cappello e senza, prendendo spunto da Alain Delon nei film di Melville (per l’attore spagnolo non deve essere stato molto difficile). Non pago del cinema di genere, il regista si mette a creare una serie di giochi di immagine nell’immagine, utilizzando le combinazioni delle riprese con le telecamere di sorveglianza, mirando a creare dei contrasti volumetrici, come quando la faccia dell’Uomo Tigre si avvicina allo schermo in cui è ripresa Vera, e si ha l’impressione che la stia mangiando. Quasi come in quella dialettica interna alla composizione dell’inquadratura che Ėjzenštejn faceva per esempio in Ivan il terribile.

Almodóvar fa con il cinema quello che il dr. Robert fa con la pelle costruendo un patchwork con tanti lembi di epidermide cuciti insieme. Attinge a un bagaglio sterminato cinematografico, che comprende anche i suoi film e persino gli epigoni riusciti male degli stessi, com’è il caso di quello della figlia, sempre innominata, di Lynch. E il risultato è perfetto, come Vera, non come la creatura di Frankenstein in cui si vedono cicatrici e cuciture – proseguendo nella metafora si potrebbe accostare quest’ultima a Tarantino –.

Almodóvar ha fatto così un film in vera pelle.

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