JOURNEY TO THE WEST: CONQUERING THE DEMONS di Stephen Chow e Derek Kwok

REGIA: Stephen Chow, Derek Kwok
SCENEGGIATURA: Stephen Chow, Derek Kwok, …
CAST: Zhang Wen, Shu Qi, Bo Huang
NAZIONALITÀ: Cina
ANNO: 2013

KING KONG VS. BUDDHA

Dopo cinque anni dal suo ultimo film, CJ7, torna il folle Stephen Chow (stavolta assistito da Derek Kwok) con una nuova trasposizione parodistica di un popolare classico della letteratura cinese, Il viaggio in Occidente, che risale alla fine del XVI secolo, in cui già si era calato come attore, nei panni del monaco scimmiotto protagonista Sun Wukong, nei due A Chinese Odyssey che pure si rifacevano alla storica opera. Il best seller di epoca Ming in effetti ha già avuto un’infinita quantità di strascichi nella cultura popolare. Qualcuno si ricorda della serie animata nipponica The Monkey? O di Starzinger e Dragon Ball? Tutte e tre sono ricalcate – la prima fedelmente, le altre due più liberamente – da quell’antica saga. Si conferma così quella tendenza di Chow a fagocitare tutto nelle sue parodie, compreso se stesso, che possono diventare parodie di parodie, così come il noto ‘Chow touch’, il mo lei tau, quel nonsense demenziale che caratterizza tutte le sue opere.

La parte più riuscita del film è indubbiamente la prima, ambientata in un villaggio di pescatori. Qui Chow esibisce una dose di cinismo e cattiveria davvero considerevoli, infrangendo il tabù delle vittime infantili, cosa che si stempera solo nel clima farsesco del tutto. La bambina che, tra scene che fanno il verso a Lo squalo e Piranha, continua imperterrita a ridere senza rendersi conto che il papà le sta morendo sotto gli occhi, per poi finalmente piangere, dopo uno stacco, solo al suo funerale. Il tutto tra gag di inconfondibile sapore slapstick, con il tipico meccanismo di azione e reazione, di concatenazione causale, che arrivano all’apice in una scena dove un ponte che si stacca diventa un gigantesco dondolo, con un gioco di leva, pesi e contrappesi. La direzione presa da Chow e Kwok va verso lo slapstick del cinema classico, e in particolare a quello surreale dei cartoon di Tex Avery e Chuck Jones, complice l’uso smodato di computergrafica. Il piede che diventa gigantesco e poi si rimpicciolisce fino a diventare minuscolo –  i tecnici degli effetti speciali lo definiscono “animation-take” –, che fa venire in mente King-Size Canary, urla che mandano in polvere corpi umani, corpi che hanno perso la loro consistenza, che si modificano, scompongono e ricompongono come nei cartoni animati. Il film, per l’uso massiccio di computergrafica, sconfina ormai nell’animazione.

I registi arrivano anche a svelare i trucchi del cinema, ma quelli ancora artigianali, semplici rispetto alla CGI: il sangue finto che sgorga con una pompa e che poi continua a fuoriuscire inaspettatamente. Chow agisce come il prestigiatore che fa passare un grande cerchio attorno al corpo della donna sospesa, per dimostrare che non ci sono fili. Questo svelamento avviene nella messa in scena dell’agguato, ordita dalla bella cacciatrice di demoni Miss Duan (Shu Qi) allo scopo di costringere il collega Chen Xuanzhang (Wen Zhang), di cui è invaghita, a fare l’amore con lei (qui siamo davvero all’apice del nonsense!).

Come già in alcuni film che lo videro grande mattatore, Flirting Scholar e i A Chinese Odyssey, Chow riscrive, in chiave di commedia strampalata e demenziale, i racconti della cultura tradizionale attingendo alla sua iconografia ed estetica, introducendo elementi e costumi dell’Opera di Pechino, simbologie come il fiore di loto, la luna piena, gli animali. Spesso volgendo allo sberleffo, come nella scena reiterata del personaggio che si fa lanciare addosso i petali. Ma alla fine si arriva a una genuina, e sincera, chiusura della parabola buddista, con il raggiungimento del satori, l’illuminazione. Che passa comunque con una battaglia tra lo scimmiotto diventato un gigantesco King Kong e un ancora più gigantesco Buddha derivato dalla trasformazione di una montagna.

Va detto che stavolta Chow, a differenza di tanti altri film in cui riusciva a mantenersi perfettamente sul filo del rasoio, non riesce a controllare la sua ipertrofia di demenzialità, che finiscono per strabordare. E i più efficaci e credibili effetti speciali moderni possono diventare un’arma a doppio taglio.

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