CARNAGE di Roman Polanski – Venezia 2011

REGIA: Roman Polanski
SCENEGGIATURA:
 Roman Polanski, Yasmina Reza 
CAST: Jodie Foster, Kate Winslet, John C. Reilly, Christoph Waltz
ANNO: 2011
USCITA: 16 settembre 2011
VENEZIA 11: IN CONCORSO

CARNE IN SCATOLA

Polanski fa vomitare un premio Oscar su un albo di Kokoschka, e questo è lo spoiler più grande possibile su CarnageJohn c. Reilly eChristoph Waltz partono subito come due persone di merda, Jodie Foster e Kate Winslet lo diventano: sono armature e ruoli (matrimoniali, umani, sociali) che cadono in pezzi, coccio dopo coccio, battuta per battuta, pezzo di pièce dopo pezzo di pièce. Se non si trattasse di un gioco divistico verso la follia e la nevrastenia, poco resterebbe se non la (im)presa claustrofobica (ma meno d’altre volte) di Polanski, a sua volta più spettatore divertito che burattinaio.

La farsa antiborghese, ma per borghesi: il pacchetto è completo e sigillato, e la cosa migliore – nel confinare, appunto –  è il suo non aver nè inizio nè fine, ma una cornice che vale più di tutto il narrato: il gesto animalesco, all’aperto, mcguffin ed unico ambiente naturale; introduzione musicata  prima e ironica danza d’un parco giochi al pomeriggio poi (un anti-epilogo da riempire a piacimento); nonché unici momenti commentati da Alexandre Desplat, con un allegro che rimanda direttamente ai titoli di testa di Oliver Twist.
Ermetico, non sbrodola da nessuna parte, non abbiamo kleenex da tenere alla mano, non ci si può sporcare, tantomeno imbrattare, se non con torchianti primi piani di puerilità isterica di Jodie Foster e Kate Winslet ed un adeguamento senza sosta alla sottilità, mai così compiaciuta in Polanski: ogni suo film ha sempre sporcato le vesti degli spettatori; macchie di provenienza oscura ma indubbiamente organica, di quelle che si notano solo nel momento in cui se ne conosce l’esistenza e, con essa, l’inaccettabilità morale, questa volta messa in scena con ritmi ed intenzioni autodelimitate e fin troppo organizzate – che si direbbe “all’europea”, che si direbbe “indie all’americana d’autore/autorizzato”, che si direbbe “diretto dal signor ics”. L’essere sporchi, il sentirsi sporchi e non poco umiliati; vittime e carnefici insieme, ma Carnage è una metonimia sterile, di naturalezza centellinata e non durevole, proporzionata ad ipotetici lauti stipendi, agli ottanta minuti disponibili; una reiterazione della contraccezione cinematografica, un’indennità, un diritto-al-difetto che forse è la cosa più orrorifica, l’ecatombe originale d’una teatralità raddoppiata a filo sottile tra la radice del film e la sua superficie più netta, il guardarlo, che sia o no in tendenza con una violenza demodè (pur)troppo nascosta.
Carnage: carneficina, massacro. Meat/meet: carne, incontro. L’eccedenza di parole buona solo per i suoi interpreti, il (di)verb(i)o tutto contenutistico, il divertimento meccanico, un veleno iniettato con troppa poca forza, se non assente, se non cui addirittura siamo ormai (già) immuni.

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