AFTER EARTH – DOPO LA FINE DEL MONDO di M. Night Shyamalan

REGIA: M. Night Shyamalan
SCENEGGIATURA: M. Night Shyamalan, Gary Whitta
CAST: Jaden Smith, Will Smith, Sophie Okonedo
ANNO: 2013
NAZIONALITA’: USA
USCITA: 06 Giugno 2013
 

M. NIGHT SHYAMALAN: L’ULTIMO VERO ROMANTICO

Chi ha tirato fuori scientology dovrebbe cambiare mestiere, mentre chi ha parlato male del film ha fatto bene, in quanto è l’ennesima dimostrazione di come gli autori geniali rimangano sempre e comunque incompresi ai più proprio in quanto geniali, e dunque troppo avanti ed imprendibili.

Shyamalan è l’ultimo vero romantico del cinema contemporaneo. Uno che vede ancora la fede e l’amore (giacchè l’amore è fede) come unici possibili requisiti indispensabili per crescere e superare le proprie paure. L’ha fatto Ivy in The Village, attraversando il bosco per salvare Lucius, così come Elliot e Alma sono sopravissuti in E venne il giorno solo dopo che hanno imparato a tenersi per mano, a stringersi senza mollare mai più. Accettare l’inevitabile impossibilità di cambiare il passato come in Signs, incarnare finalmente e dolorosamente il proprio ruolo come ne L’ultimo dominatore dell’aria: After Earth è tutto questo e ancora più di questo. Quello di Shyamalan è ancora e sempre cinema di fantasmi che tornano in vita, di riemersioni catartiche dal liquido amniotico, vedendo nell’immenso Jaden Smith il suo nuovo evanescente eroe, che compie lo stesso percorso di formazione già attraversato nel reboot di Karate Kid, confermandosi come attore intelligente che non abbiamo dubbi farà più del padre in un vicino futuro. La maestria con cui Shyamalan domina lo sguardo è quello di un (fare-respirare-amare)cinema che crede intensamente nella storia che racconta (pena la fine del critico nel bellissimo Lady in the water), lo vediamo con quegl’intesissimi primi piani che scavano nel dubbio e nella speranza, o in quella bellissima scena in cui il protagonista Kitai, una volta informato del viaggio che dovrà fare col padre, è immobile davanti alla finestra mentre la macchina da presa si allontana, leggiadra come un’ectoplasma che spicca il volo. Attimi curatissimi che il regista ha la commozione di mettere in scena con l’evocazione di uno che conosce la settima arte e che sa dipingerlo con la vibrazione della pienezza. Mai un vuoto in After Earth, una traccia casuale giusto per riempire, nessun flash back sbagliato o ripetizione errata: tutto collide e si abbraccia al servizio di una poetica umanista che si trasfigura in una limpidissima scrittura filmica per immagini così chiara da essere naïve e così naïve da aver tratto in inganno più critici che ancora non hanno capito come il cinema di Shyamalan viva nella più assoluta autosufficienza, oggetto che riflette sè stesso, e dunque senza più bisogno d’interpretazioni. Il resto è lezione di tecnica: che cosa dire del momento dell’incidente nella navicella spaziale, con il figlio che, immobile ed impotente, osserva il padre spazzato via? E’ ancora questa la vita dell’autore di Unbreakable, gli sguardi sospesi e in bilico, lo stesso nostro se soltanto ci decidessimo a tuffarci ancora in questo vortice, a credere ancora nelle storie, nel cinema.

Come abbia fatto Shyamalan ad aver assorbito totalmente un’opera che nasce invece tutta dalla famiglia Smith, è presto detto. Ancora una volta ci ricorda la lezione imparata da Truffaut: l’autore che si traveste da qualcos’altro per far la felicità dei produttori, quando sotto il camuffamento, a rimanere intatte sono proprio la poetica e lo stile. D’altronde, Shyamalan ha sempre girato la stessa pellicola, e questa non è da meno: un film sul cinema e sull’unico tema possibile, l’amore.

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