MASTERS OF HORROR: FAMILY
REGIA: John Landis
SCENEGGIATURA: Brent Hanley
CAST: George Wendt, John B.Scott, Meredith Monroe
ANNO: 2006
A cura di Giovanni Nasti
TORINO 06’: AMERICAN GORE
Assente ormai da quasi dieci anni dal normale circuito delle sale cinematografiche,
di John Landis non ci è ormai dato
vedere più che qualche lavoro televisivo, oppure partecipazioni a progetti
collettivi come questo Masters Of Horror,
giunto ormai al secondo anno e coronato da un’ottima accoglienza da parte
di quel pubblico di cinefili ed appassionati di cinema del terrore a cui si
rivolge.
La tendenza prevalente di questa seconda annata è quella di una forte
politicizzazione, quasi il tentativo di dare corpo a un’agenda politica
di opposizione, mettendo alla berlina ogni singolo punto dell’ideologia
conservatrice del presidente Bush e
dei suoi accoliti. Landis non si
sottrae a questo dovere, dedicando il suo film alla decostruzione
dell’immaginario familista tanto caro alla destra (e non solo) americana.
E per rafforzare il suo messaggio, nel piano sequenza che apre il film, ci
mostra, tra le varie foto che il serial killer protagonista dell’episodio
tiene esposte su una mensola della sua casa, quella del vicepresidente
americano Dick Cheney.
La sceneggiatura è stata scritta da Brent
Hanley, già autore del copione di Frailty,
grande successo horror di qualche stagione fa. L’episodio è incentrato su
un serial-killer (interpretato dal simpatico Gorge Wendt del telefilm Cin
Cin) che uccide per costruirsi una sorta di famiglia ideale, (de)composta
da cadaveri. Landis legge la
sceneggiatura in chiave umoristica e satirica, divertendosi a citare Hitchcock che, come ha detto presentando
il film al festival di Torino, è stato il più bravo di tutti a realizzare film
su mostri “reali”, mentre lui di norma predilige quelli di origine
soprannaturale.
La vita della famigliola procede piuttosto tranquilla e senza scossoni, e di
volta in volta Harold (questo il nome del personaggio principale) aggiunge un
nuovo componente al nucleo familiare che popola la sua casetta suburbana. I
guai cominciano quando arrivano i nuovi vicini, una giovane coppia con problemi
coniugali, traumatizzata dalla morte della piccola figlia.
I vicini si dimostrano da subito molto amichevoli con Harold, che inizia ad
avere un certo feeling con la donna. Ciò scatenerà la gelosia della
sposa-cadavere, e incrinerà per la prima volta la serenità familiare tanto
duramente conquistata. L’uomo appare ormai deciso a rimpiazzare la moglie
una volta per tutte, ma il finale riserverà qualche sorpresa che non vi
anticipiamo.
Figli ribelli, mogli sempre più autonome, anziani pieni di esigenze…
Sembra proprio che non ci sia altro modo, per mantenere in piedi
l’autorità paterna, che ridurre la famiglia a un mucchietto di ossa da
sistemare ordinatamente davanti a un televisore sempre acceso. La satira di Landis affonda la lama nella pretesa di
rispondere a tutte le inquietudini e le domande che percorrono le nostre
società avanzate, rifugiandosi nei cosiddetti “vecchi valori” e
nell’autoritarismo. Ma ci mostra anche come l’assolutizzazione del
valore “famiglia”, questo concetto che presuppone in fondo un
“noi” opposto e in conflitto col mondo esterno, può trasformare
chiunque, spinto dal desiderio di vendetta, in un mostro dedito alla tortura e
al sadismo. Ogni allusione, anche in questo caso, non è puramente casuale.
E’ sempre un piacere vedere all’opera un regista come Landis, ormai da quasi dieci anni tenuto
lontano dal circuito normale delle sale cinematografiche, dopo il fiasco di Blues Brothers 2000 e la spedizione
direttamente nel mercato home video di Susan’s
plan (Delitto Imperfetto), in realtà un ottimo lavoro, ma sfortunatamente
troppo somigliante, non solo nel titolo, ma anche nelle conclusioni e in certi
aspetti della trama, ad un film realizzato nello stesso anno, A simple
plan (Soldi Sporchi), da Sam Raimi,
che era straordinario.
E’ stato uno dei registi più corrosivi tra i talenti venuti fuori dalla
generazione degli anni’70, ma anche uno di quelli capaci di dare vita ad
un cinema realmente gioioso, giocoso e libero. Family conferma la sua intatta abilità e il tocco sempre eccentrico
e anticonvenzionale del suo cinema, quel tocco che speriamo torni ad aver modo
di esprimere anche nel lungometraggio.
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