Ultimi aggiornamenti
A cura di Giampiero Raganelli
VISIONE. Dopo tanti funerali nel film possiamo dire che Gus Van Sant sia al funerale del suo cinema, mentre sembra invertire la sua quadrilogia sulla giovinezza? Le stagioni della vita, l'impermanenza, la rassegnazione serena e una visione della morte che è quella di un mondo deterministico, di una concezione positivista.
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A cura di Luca Lombardini
VISIONE. Quello di Sorrentino è sempre stato un cinema prevalentemente e orgogliosamente visivo, uno story-teller borderline capace di compiere miracoli. Ma, con i suoi eterni tic ormai prossimi all'auto celebrazione tout court, ora non parla più al pubblico, parla a se stesso, e a noi rimane il vuoto pneumatico.
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A cura di Paolo Villa
VISIONE. A Cannes per Von Trier le briciole, il disprezzo, la disperazione; ma quest’ultima l’aveva già in tasca: agonia psichica planetaria, cosmogonica telluricità e nevrosi familiari, tendenze psicosuicide e umor nero, una tortura di ritratti psicanalitici e metafore di platonismo latente. Un capolavoro ad implodere.
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A cura di Alessandro Tavola
VISIONE. Will Gluck è chiaro fin dall’inizio: «Vaffanculo i personaggi». Yuppie-nerd qualsiasi e senza fantasmi, sotto il bombardamento senza sosta di un montaggio esagitato, che non sa affrontare neppure la banalità dell’amore (cinematografico), come fosse il risultato video-e-ludico di un videomaker esaltato.
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A cura di Pierre Hombrebueno
VISIONE. Il modello a cui aspiravamo era Joe Wright, ma invece abbiamo Cary Fukunaga: Jane Eyre rimane dark solamente in superficie e mai oltre, come se bastasse una maglietta dei Cure per professarsi goth, come se conoscere Love will tear us apart fosse sufficiente per essere depressi come Ian Curtis.
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A cura di Matteo fumagalli
VISIONE. Non basta un’esplosione di colori, passione e velocità per fare un film: mix kitsch baraccone di bellezze asiatiche assortite, discinte star del sottobosco softporno, tra un rincorrersi continuo di amplessi poco ispirati, il copiare con la carta carbone il primo capitolo e la tristezza del 3D.
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A cura di Giampiero Raganelli
VISIONE. Sulla carta un film folle. Almodóvar fa con il cinema quello che il suo protagonista fa con la pelle: un patchwork con tanti lembi cuciti insieme, attingendo ad un bagaglio (non solo) cinematografico sterminato, creando giochi d'immagine nell'immagine, un Frankenstein di citazioni dalle cicatrici invisibili.
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A cura di Luca Lombardini
VISIONE. Un kammerspiel che sentimentalmente arriva dove si prefigge, dove l'abilità dietro la macchina da presa di Cronenberg salva una regia essenziale dalle derive dello sceneggiato televisivo e i corpi persistono nell'essere struttura sostanziale del suo cinema, anche se all'apparenza assente.
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A cura di Pierre Hombrebueno
VISIONE. Gran Torino proiettato con altri corpi in altri spazi e altri tempi, Scorsese anni '90: Winding Refn ha il romanticismo consumato e tragico di un punk finalmente cresciuto e maturato, e quindi dal soffrire urlando al soffrire in silenzio, implodendo, shoegaze, opera perfetta, di tagli al punto giusto, di suspense.
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A cura di Alessandro Tavola
VISIONE. Divertimento meccanico, un veleno iniettato con troppa poca forza, se non assente, se non cui addirittura siamo ormai (già) immuni. Armature e ruoli che cadono in pezzi, coccio dopo coccio, battuta per battuta, con un Polanski a sua volta più spettatore divertito che burattinaio.
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