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e (ancora per poco) sulla pagina del vecchio dominio

CRONACHE DA VENEZIA 2011

Sezione in riallestimento (spiacevole sbavatura), doverose scuse senza scusanti. Rimettiamettiamoci, per ora, alla vecchia (ma completa) versione
(è possibile che in alcuni casi sia necessario sostituire il dominio "com" con "it" nella barra degli indirizzi)
A cura di Luca Lombardini

REGIA: John Hillcoat
SCENEGGIATURA: Joe Penhall
CAST:
Viggo Mortensen, Charlize Theron, Kodi Smith-McPhee, Guy Pearce, Robert Duvall
ANNO: 2009

L’UOMO, IL BAMBINO, LA PISTOLA

Per quanto profondo e metaforicamente stratificato sia, il cinema di John Hillcoat ruota attorno ad una semplice questione di scelte: decisioni che costringono il protagonista di turno dinanzi al bivio che separa la vita dalla morte. La storia, già ammirata in The Proposition, si ripete, seppur soggetta a superficiali e decisive sfumature,  in The Road. Poco importa se l
alternativa riguardi la predilezione tra la sopravvivenza del fratello maggiore, incallito fuorilegge, al fine di preservare quella del parente minore, ancora limpido e innocente; oppure si focalizzi sulla rinuncia al sonno eterno tramite propria mano per crescere comunque l’unico genito. Il John Hillcoat pensiero risiede in questo dilemma morale: puro, franco e meravigliosamente empatico. Prima che forma, grammatica o sintassi cinematografica, The Road necessita di essere interpretato e analizzato come l’ennesima immersione del regista australiano in un cinema dagli indiscutibili risvolti familiari, rivolto, questa volta, a tradurre in celluloide il primo e ultimo diritto/dovere di un padre: tutelare, accudire, crescere e proteggere ad ogni costo il proprio figlio. Nell’adattare per il grande schermo la letteraria apocalisse secondo Cormac McCarthy, Hillcoat lavora per fortunate ed efficaci ellissi narrative (il mondo è finito ma non è dato saperne né il perché né il percome) e, discostandosi di rado dalla devota fedeltà al testo d’origine, colloca il legame di sangue in questione all’interno di un universo svuotato dell’idea stessa della vita: cielo grigio, paesaggi funerei, alberi morenti, sbiadite ombre di esseri umani all’orizzonte e un revolver. Pistola a tamburo con soli due colpi in canna, testimone che passa di mano in mano pronto all’utilizzo da arto e mente educati, ma solo nell’estremo caso. La Strada è un imponente e acromatico momento di narrazione per immagini, che concede al colore e al calore il tempo infinitesimale dei parsimoniosi flashback, ricordi dolorosi ma mai rimossi di un passato perduto per sempre. L’ultimo, sublime Hillcoat è una “lunga marcia” a quattro gambe, riflessione in fotogrammi sull’essenza prima della natura umana: sopravvivere o, quantomeno, provare a farlo; anche se la speranza di riuscirvi è morta assieme alla scelta di una madre e una moglie che, in una fredda notte d’inverno, ha deciso di arrendersi alle conseguenze della catastrofe fuggendo la vita. Il cineasta lavora meticolosamente e con successo sul senso di spiazzamento, sensazione instillata nella percezione emotiva dello spettatore dalla parziale disgregazione del nucleo familiare, opposto all’idea di un’utopistica nuova era all’orizzonte suggerita dalla cristologica figura del bambino. Una riflessione tradizionalmente radicata nella storia della settima arte, ma trasmessa da Hillcoat secondo spirito, occhi e sguardo di una nuova prospettiva: quella di un padre che, per una volta, si ritrova ad indossare i panni e addossarsi le responsabilità culturalmente destinati alla figura femminile. Delle tante qualità insite nel Cormac McCarthy scrittore, quella di rappresentare la moderna risposta all’autore di fiabe è sicuramente preponderante. Raramente i suoi racconti rinunciano ad un approccio che non sia in medias res, altrettanto le sue storie si astengono dal focalizzarsi sul riflesso cartaceo di violenti paesaggi americani, illustrati con il piglio di chi non risulti affascinato da altro se non dalla natura disinteressata di ciò che narra e dal cammino intrapreso da chi l’attraversa. Proprio la comprensione di questo assioma di fondo è all’origine della meraviglia contenuta nei 111 minuti di The Road. La monolitica e rigorosa macchina da presa di John Hillcoat si muove poderosa e coinvolgente, mettendo in scena ciò che resta di un western decadente e devastato, fotografato con minacciosa cupezza e cullato dall’atonale colonna sonora degli ormai fedelissimi Nick Cave e Warren Ellis che, procedendo per sottrazione, intersecano a livello diegetico le dinamiche visive con quelle sonore, toccando picchi effettivi prossimi al silenzio: l’unico frutto in grado di essere raccolto sulle strade di un mondo che non esiste più. Non c’è Michael Mann, Haneke, Martin Scorsese o Jacques Audiard che tengano: The Road è il miglior film dell’anno e forse anche di più. Probabilmente il Ladri di Biciclette del nuovo millennio.

06 giugno 2010

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