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e (ancora per poco) sulla pagina del vecchio dominio

CRONACHE DA VENEZIA 2011

Sezione in riallestimento (spiacevole sbavatura), doverose scuse senza scusanti. Rimettiamettiamoci, per ora, alla vecchia (ma completa) versione
(è possibile che in alcuni casi sia necessario sostituire il dominio "com" con "it" nella barra degli indirizzi)
A cura di Luca Lombardini

REGIA: Johnnie To
SCENEGGIATURA: Wai Ka Fai
CAST: Johnny Hallyday, Silvie Testud, Anthony Wong
ANNO: 2009

ANTIPATHY FOR MR VENGEANCE

Prima o poi bisognerà seriamente chiedersi il perché monsieur Grumbach, in arte Jean Pierre Melville, continui ad esercitare immutato fascino nell’immaginario dei grandi autori hongkonghesi. Johnnie To è soltanto l’ultimo in ordine di tempo a dichiararne l’infatuazione, gettando, con Vengeance, le basi cinefile per l’ambizione mai nascosta di un’intera carriera: il remake de I Senza Nome, probabilmente il vero capolavoro del rispettato, amato e omaggiato cineasta francese. Nonostante il consueto contributo in fase di scrittura assicurato dal fidato Wai Ka Fai e l’usuale presenza di ritorno di volti ormai ascrivibili alla factory del To non solo regista, Vengeance si palesa immediatamente come il primo passo mosso dall’ultimo, riconosciuto, maestro di Hong Kong verso un modo di pianificare e fare cinema dichiaratamente occidentalizzato. Vengeance abbatte i confini orientali tanto nelle gerarchie degli idiomi utilizzati (inglese e francese hanno progressivamente la meglio sul tradizionale cantonese), quanto nel particolare relativo alla messa in scena dei gesti comuni (Anthony Wong, nonostante si trovi a Macao, consuma il suo piatto di spaghetti preferendo forchetta e cucchiaio alle tradizionali bacchette); contemporaneamente, Le samourai non perde mai l’occasione per mettersi in mostra come fonte principale d’ispirazione. To, che per il ruolo di protagonista avrebbe fatto carte false pur di avere a disposizione Alain Delon, cuce su misura per Hallyday i panni di un Costello fisicamente avanti negli anni, citando esplicitamente uno dei memorabili passaggi della “faccia d’angelo” nella sequenza del test, dove il colpevole, pur riconosciuto tra i sospetti, viene graziato da chi era stato convocato per individuarlo.
Regista da sempre incline ad un sottile e intelligente manierismo, To prova a bissare con la sua ultima fatica quanto riuscito con Breaking News. Sostituisce De Palma con Melville, ma sbaglia clamorosamente mira e di conseguenza bersaglio. Vengeance può vantare accelerazioni candidabili all’antologia della settima arte: sequenze sbalorditive, dalla vertigine empatica e visiva indimenticabile (vedi la sparatoria nella discarica), ripropone con intatto interesse alcuni archetipi narrativi cari alla poetica del suo autore (il pranzo come momento di incontro, conoscenza e risa, oppure la scelta d’onore di tre ronin che, pur di portare a termine il “contratto di lavoro”, preferiscono la morte per mano dei proiettili del loro vecchio padrone al fine di patteggiare per il nuovo amico/cliente); ma nonostante tutto questo non convince. Almeno fino in fondo. Difficile concedergli molto di più rispetto alla considerazione che merita: la stessa che criticamente si elargisce quando ci si trova in presenza di un semplice esercizio di stile, appassionato si, ma altrettanto poco persuasivo quando si vede costretto ad allontanarsi dai canoni di riferimento per trasmettere altro rispetto all’omaggio filmografico. Vengeance, quasi fosse diretta con la mano sinistra, è opera incostante e decisamente orfana dell’impeccabile geometria che caratterizzò i vari A Hero Never Dies, The Mission, PTU, Exiled o il dittico Election: caratterizzazioni e componenti emotive restano a galleggiare in superficie, schiave di una forma mai come in questo caso tanto vicina alla perfezione tecnica quanto algida e distaccata. Passi il lavoro enciclopedico finalizzato ad allestire la maschera malinconica indossata da Johnny Hallyday, così come la costruzione a tavolino della squadra di sicari che lo spalleggerà nei sui propositi di regolamento di conti fino a rimetterci la pelle (nulla, comunque, che Exiled non avesse già configurato e approfondito, naturalmente in meglio); ma quando per imbattersi in un particolare che non sia assodato alla carrellata di archetipi e luoghi comuni riconducibili al cinema di To, ci si deve accontentare di una virata in stile Memento di Christopher Nolan, vuol dire che qualcosa, nei conti, non torna. Lontanissimo dall’avere difetti di confezione, Vengeance dimostra esigua profondità e fin troppo fiato corto, nonostante i canonici novanta minuti permettano al regista di chiosare in anticipo rispetto alle sue consuete tempistiche. La spia d’allarme si era accesa già dopo il deludente Triangle, insoddisfacente progetto a tre firmato assieme a due mostri sacri della prima nouvelle vague hongkonghese anni ’80: Ringo Lam e Tsui Hark. Vengeance non fa che confermare quanto Johnnie To sia, in questo momento, in riserva di idee.

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05 maggio 2010

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