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e (ancora per poco) sulla pagina del vecchio dominio

CRONACHE DA VENEZIA 2011

Sezione in riallestimento (spiacevole sbavatura), doverose scuse senza scusanti. Rimettiamettiamoci, per ora, alla vecchia (ma completa) versione
(è possibile che in alcuni casi sia necessario sostituire il dominio "com" con "it" nella barra degli indirizzi)
A cura di Luca Lombardini

REGIA: Mark Neveldine, Brian Taylor
SCENEGGIATURA: Mark Neveldine, Brian Taylor
CAST: Gerard Butler, Michael C. Hall, John Leguizamo
ANNO 2009

“Non era più un gioco ma una realtà tridimensionale, e la probabilità di arrivare a Freeport trascinandosi su due moncherini sanguinanti pareva orrendamente possibile”
(da pag. 94 de La Lunga Marcia di Stephen King)


Il 2010 verrà ricordato come l’anno cinematografico dei surrogati. Dopo Avatar e Il Mondo dei Replicanti ecco Gamer, coniglio dal cilindro estratto dagli autori di Crank (sorta di Speed “epidermico” girato a mille all’ora). Giunti alla loro terza performance dietro la macchina da presa, Mark Neveldine e Brian Taylor confermano indocile stoffa e propensione al saccheggio pop, centrifugando adrenalina e cervello, testosterone e acume ideologico. Prevedibilmente bollato come semplice fumettone sparatutto, Gamer è al contrario un film adulto, che dice e possiede molto di più rispetto a quanto abbiano percepito, compreso e riportato, la maggior parte delle sagaci penne italiane prestate all’analisi critica della narrazione per immagini. L’universo parallelo popolato da doppi virtuali a controllo remoto, di certo non una novità da qualche mese a questa parte, viene elaborato e ricreato attraverso inconfutabili parametri di credibilità e personalità. A monte dell’immaginario proposto dalla partnership australiana una scorpacciata di Rollerball (the original, of course) e un’indigestione de L’Implacabile (cult anni ’80 ingenuamente trasposto da uno dei migliori Stephen King di sempre, ovvero il profetico L’uomo in fuga). Visto il risultato, nell’impasto ispiratore meriterebbe un posto d’eccezione anche la Decima Vittima, salvo accorgersi, a visione ultimata, quanto il capolavoro di Elio Petri rappresenti un punto d’arrivo esageratamente alto rispetto alle ambizioni principalmente d’intrattenimento palesate dal duo in questione. Forti della lezione appresa da Norman Jewison e P.M. Glaser, Neveldine e Taylor riadattano a propria immagine e fantasia Doom, traducendo il videoludismo della consolle nelle regole base di un reality show di nome Slayers, ultimo variazione sul tema del panem et circenses di romana memoria: 30 battaglie interpretate da condannati a morte, che prestano il proprio corpo al comando a distanza di un giocatore sconosciuto. Chi muore, muore. Chi vince è libero (?). Sullo sfondo della vicenda un mondo nemmeno troppo futuribile e ormai asservito allo stile second life, incollato alla poltrona di casa dall’altro format d’intrattenimento: Society; talmente popolare e richiesto da offrire occasioni e posti di lavoro come attori o attrici a chi, più per necessità che per scelta, intende prestare il proprio corpo alla libidine giornaliera di chi muove le fila. Gamer non si limita esclusivamente a divertire o intrattenere, ma lascia spazio alla riflessione a posteriori, dipingendo il cinico ritratto di un’umanità orfana di sentimenti ed emozioni, incapace di vivere la propria esistenza se non attraverso protesi virtuali, deambulanti in una terra che non c’è. Spietata, a tal proposito, l’immagine che arriva del rapporto sessuale: incontro di organi riproduttivi ridotto a mera perversione, colorata su scale cromatiche kitsch. Messaggio a parte, Neveldine e Taylor regalano il meglio delle loro potenzialità in fase di messa in scena, rivoltando il mezzo videoludico di base e impossessandosi della prospettiva visuale propria del joystick per dirigere un film nel film, durante il quale l’immagine riflessa sullo schermo si sostituisce, minuto dopo livello, ad una realtà che, da effettiva, si fa effimera. Un contesto dove ritornano utilissimi gli esordi formativi negli spot pubblicitari: short story dall’impatto prevalentemente visivo e dalla forza devastante, che contribuiscono a cesellare passaggi fiammeggianti come la sequenza ambientata nel rave party. Forma e sostanza quindi, senza dimenticare una sorprendente conoscenza delle regole semiotiche applicate alla settima arte: per intenderci Michael C. Hall che guida la coreografia dei suoi scagnozzi intonando Virginia Bruce (“I’ve got you, under my skin…”) in apertura di sottofinale. Un colpo di coda che trasuda preparazione e arguzia, tocco di classe abbastanza efficace da permettere a chi guarda di sorvolare su alcune evidenti innocenze di sceneggiatura e concentrarsi su ciò che conta veramente: la visione d’insieme di un signor film, orchestrato al meglio da una coppia di cineasti preparati, capaci di fare centro già al loro primo sparo e in grado di cadere in piedi nonostante il clamoroso fiasco di Crank 2. Repetita iuvant: Gamer merita, con buona pace dei cultori del cinema d’essai a tutti i costi.

05 maggio 2010

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