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e (ancora per poco) sulla pagina del vecchio dominio

CRONACHE DA VENEZIA 2011

A cura di Pierre Hombrebueno

REGIA: Cary Fukunaga
SCENEGGIATURA: Moira Buffoni
CAST: Mia Wasikowska, Michael Fassbender, Jamie Bell
NAZIONALITA': Gran Bretagna
ANNO: 2011
USCITA: 7 ottobre 2011

FRAGILITA’ FOTO-TEATRALE

Il modello a cui aspiravamo, ovvio, era Joe Wright. Non tanto nella scioglievolezza e nella fluidità  pop di Orgoglio e pregiudizio (Jane Austen sta a Charlotte Bronte come Johnny Rotten sta a Morrissey), quanto nella possibilità di una messa in scena che si allontani dalle tipiche pose ambulanti di molto cinema in costume. Dono di Joe Wright è distaccarsi dalla staticità, celarla, sorvolarla fino a renderla neutrale, incapace di fare del male: la macchina da presa come silenzioso fantasma che attraversa le location come fosse un roller coaster, il ritmo della modernità a ringiovanire un’opera letteraria dagli scaffali polverosi. Purtroppo per noi però, qui non c’è Joe Wright, bensì Cary Fukunaga, uno sconosciuto che fino all’altro ieri faceva l’elettricista del set (in termini più nobili: il direttore della fotografia), fatto che si esplica già dalle prime immagini del film, in cui il fattore dominante risulta proprio il cromatismo tendenzialmente dark, con quadri dalle tonalità scure e ombre enfatiche. Eppure, il problema è proprio questo: Jane Eyre rimane dark solamente in superficie e mai oltre, come se bastasse una maglietta dei Cure per professarsi goth, come se conoscere Love will tear us apart fosse sufficiente per essere depressi come Ian Curtis. L’opera della Bronte è da sempre ispiratrice delle più variopinte atmosfere, non di meno l’horror: del film di Fukunaga a rimanere impressa è solamente un vacuo colore senza mood, un cuore ghiacciato senza sentimento, una rappresentazione il cui pathos sembrerebbe un optional. Si cerca di giocare coi flashback, eppure la messa in scena sa molto più di piattezza teatrale o soap-operistica, con la macchina da presa fissa ad inquadrare il vuoto dei dialoghi, tra espressioni scarne e così illeggibili da sembrare manichini, disegnate, finte. Evidentemente, nella narrazione qualcosa è andata persa, come se tra una scena e l’altra ci fossero dei buchi, dei tagli sbagliati, delle misteriose omissioni, delle insignificanti aggiunte: a risentirne è il ritmo e il climax, come fossimo davanti ad una canzone con tanti versi simili ma senza l’atteso ritornello killer. Attorno, diversi attori usati come maiali della Guinea. Il fascino pallido di Mia Wasikowska buttato al cesso. Fassbender, poveretto, forse s’è confuso tra la miriade di set in cui sta attualmente lavorando. E Judi Dench, che amiamo moltissimo, ha fatto la figura dell’anziana un po’ sfigata di turno.

11 ottobre 2011

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