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e (ancora per poco) sulla pagina del vecchio dominio

CRONACHE DA VENEZIA 2011

Sezione in riallestimento (spiacevole sbavatura), doverose scuse senza scusanti. Rimettiamettiamoci, per ora, alla vecchia (ma completa) versione
(è possibile che in alcuni casi sia necessario sostituire il dominio "com" con "it" nella barra degli indirizzi)
A cura di Alessandro Tavola

REGIA: Steven Soderbergh
SCENEGGIATURA: Scott Z. Burns dal libro di Kurt Eichenwald
CAST: Matt Damon, Lucas Carroll, Eddie Jemison
ANNO: 2009

VENEZIA 09’: ESSERE SENZA CUORE, SOLO PIXEL

Questa recensione è falsa: l’ingresso in sala è stato doppio, perché la prima volta ci si è addormentati, causa ore piccole sia in entrata che in uscita, causa la mancata capacità del film di tener testa alle debolezze fisiologiche (Michael Moore invece è stato tra quelli in grado di far dimenticare cosa sia e soprattutto a cosa serva il dormire, ma coi docomedy è più semplice), riuscendo comunque a capire/assorbire/meccanicizzare un’ipotesi su quale dei cento esistenti Soderbergh avessimo davanti, lasciando dovuta autentica necessità di una nuova visione, effettivamente seconda, completa sì, ma ormai né colpo di fulmine né odio distruttivo.

Adeguarsi al tono colloquial-visivo (aka qualsiasi) del film: si scrive in prima persona.
- Ho iniziato a ridere a metà della seconda volta: è una commedia.
- Mi sono interessato al meccanismo spionistico cercando di capirlo fin da subito: è un industrial thriller.
- Mi sono innamorato della fotografia che retrò luccicava: la Red One 4K è sul serio la macchina da presa digitale che più palesemente manifesta le sue qualità (se usata da uno capace, ovvio).
- Non riuscivo a distogliere lo sguardo da Matt Damon incicciottito, baffuto e semisosia di Alessandro D’Alatri: magnetismo che c’è.

Ma anche:
- Ho iniziato a ridere a metà della seconda volta: fanculo, avrei dovuto iniziare (quasi) dall’inizio.
- Mi sono interessato al meccanismo spionistico cercando di svelarlo fin da subito: addentrarmici, a dieci minuti dalla fine, s’è rivelato uno sbaglio.
- Mi sono innamorato della fotografia che retrò luccicava: nostalgici gusti e feticismo di pixel che non hanno nulla/atmosfera/fascino di più.
- Non riuscivo a distogliere lo sguardo da Matt Damon incicciottito, baffuto e semisosia di Alessandro D’Alatri: che sia un pregio o imbarazzo/sufficienza non lo so ancora.

The informant!: la storia di un uomo che racconta un sacco di balle. Script (anzi, idea, anzi, una riga) per qualsiasi regista che voglia/possa fare qualsiasi tipologia di film, divenuto però solo riconferma: Soderbergh è un virtuoso virtuale, un prototipo di caparbietà, capace di darsi per ogni (mut)azione che neghi la precedente, non riuscendo mai, nel suo vomitare (a)variato da un Bubble a un Ocean’s a un Che, a capire chi sia come regista. Volendo, esagerando, un Miike americano, ma senz’anima: ottimo denotatore, cinerealizzatore cinefilo(?) dei pacchetti(ni), arredatore. Sembra Wilder, perché usa quelle inquadrature di tutti; sembra Burn after reading, perché si riferiscono alle stesse superfici, senza però lui andare oltre l’omaggio/schizzo/(para)parodia, facendo essere il proprio film uguale alla sua stessa locandina, nello stesso citare Saul Bass dei poster dei Coen, di Capitalism: a love story, di The men who stare at goats. Distacco simile a quello del Fincher recente ridotto a fastidiosa pro forma; per Soderbergh l’unica cosa importante sembra avere un bello shooting non commerciale ma commercioso, una prostituzione da diva decadente (il fascino di ieri con il modus di oggi) che non traspira sensualità ma solo versione di libertinismo che qualsiasi definizione o applicazione di postmodernità può assorbire e far scomparire.
Un nuovo ruolo con la faccia da scemo per Matt Damon (il migliore, in risalto con il mezzo nulla del resto del film) e una sceneggiatura a domino non attutiscono il senso di vuoto dato da Soderbergh, che oltre al gingillarsi con la macchina da presa non va, quasi gli facesse schifo tutto ciò che non è semplicemente girare, ed ecco il peggio: essere un regista che è anche la morte (meglio: la non nascita) del proprio film. Tempistiche da miniserie, come se ci fosse da spiegarselo a vicenda tra una puntata e l’altra, mentre l’opera tace. Il suo sguardo da (pseu)documentarista andrà bene col la veritè di Bubble e il cazzeggiare degli Ocean’s e il ricostruire dei Che, ma le storie non le sa (più) raccontare. La presa in giro travalica dai protagonisti allo spettatore.
La prima impressione di avere davanti del discreto possedente di qualcosa che non riuscivo a capire, la seconda di guardare un cubetto di ghiaccio. Mediando: Soderbergh è un(o che con l’essere) regista (è) viscido, e i suoi film, film di nessuno.
Ma questa è una recensione falsa o falsa recensione vera, ma va bene perchè che cosa sia The informant! non (può) interessa(re).
Afligido.

27 settembre 2009

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