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e (ancora per poco) sulla pagina del vecchio dominio

CRONACHE DA VENEZIA 2011

Sezione in riallestimento (spiacevole sbavatura), doverose scuse senza scusanti. Rimettiamettiamoci, per ora, alla vecchia (ma completa) versione
(è possibile che in alcuni casi sia necessario sostituire il dominio "com" con "it" nella barra degli indirizzi)
A cura di Luca Lombardini

REGIA: Sean Penn
SCENEGGIATURA: Sean Penn
CAST: Emile Hirsch, Marcia Gay Harden, William Hurt
ANNO: 2007

ROMA 2007: ALEXANDER SUPERTRAMP

“Vi è un incanto nei boschi senza sentiero
Vi è un’estasi sulla spiaggia solitaria
Vi è un asilo dove nessun importuno penetra
In riva all’acque del mare profondo
E vi è un’armonia nel frangersi delle onde
Non amo meno gli uomini ma più la natura”.

Domanda: cosa trasforma un film in un capolavoro? Risposta: parole, immagini e musica. Into the wild possiede tutte tre le prerogative appena elencate, e le lascia libere di ammaliare lo spettatore fin dall’incipit, marchiato a fuoco dal rincorrersi dei versi di Lord Byron. L’ultima fatica dietro la macchina da presa di Sean Penn è molto di più che la semplice trasposizione cinematografica del best seller di Jon Krakauer: poeticamente immenso, visivamente maestoso, cullato dall’indimenticabile ed enfatica colonna sonora firmata Eddie Vedder, Into the wild regala immortalità al personaggio di Christopher McCandless, e riporta d’attualità tematiche londoniane legate a doppio nodo alla cultura a stelle e strisce. Non ingannino le citazioni sparse di Tolstoj, Pastrenak o Thoreau, comunque mai fini a se stesse e capaci di infondere una profondità di pensiero e riflessione che va al di la del film in sé (dote questa, ormai quasi del tutto irrintracciabile nel cinema statunitense cosiddetto d’autore); Nella natura selvaggia è una pellicola che trae linfa vitale dalle sue origini profondamente legate alle radici di un certo immaginario americano, costruita attorno ad affascinanti ed eterne contraddizioni come il legame/schiavitù con la famiglia d’origine, il conflitto tra individualismo e necessità di rapporti interpersonali, o le antinomie ideologiche derivanti dalla ricerca di una verità. Qualunque essa sia. Un Furore contemporaneo, stilisticamente diretto come solo Anthony Mann avrebbe saputo fare e attraversato da momenti che riportano alla mente l’ultimo Herzog (attenzione alla simbologia istantanea e immediata dell’orso, inevitabile richiamo a Grizzly Man e al relativo destino di entrambi i protagonisti, fagocitati dalla loro stessa ragione di vita). Quasi inaspettatamente, Penn estrae dal cilindro un’opera monumentale, “un dramma struggente sul tema del desiderio umano”, che stravince sulla breve e lunga distanza il duello festivaliero con il criptico e presuntuoso Coppola, e relega al ruolo di comprimari filmografici, immeritato ma a posteriori giustificato, le pur ottime precedenti prove da regista (Lupo solitario, Tre giorni per la verità, La promessa). Trascinato da una vicenda che rapisce la mente e la relega ad una sorta di piacevole e salutare sindrome di Stoccolma cinefila, sorretto da un impalcatura tecnica e fotografica che regala immortalità di celluloide all’algido panorama montagnoso, e riporta così d’attualità le inquadrature e il tocco registico tanto caro all’autore de Lo sperone nudo e Dove la terra scotta, Into the wild stupisce perché è in grado convincerti proprio quando ti aspetti lo scivolone retorico. Nel tracciare gli aspetti caratteriali del vent’enne McCandless, Penn evita abilmente di cascare nella facile e allettante trappola del ritratto compiaciuto e santificante e, pur giocando con sfumature cristologico-religiose (la donazione di ogni avere materiale, la scelta di trasformarsi in una sorta di eremita on the road o la rinuncia dei rapporti carnali), riesce nell’impresa di palesare a tutto schermo pregi e altrettanti difetti terreni di un ragazzo, che lascia un profondo e doloroso solco nel cuore di una famiglia imperfetta prima, e negli affetti incontrati lungo tutto il suo viaggio poi, per inseguire la sua strada e andare incontro al suo destino. Ma oltre che un film fatto di sottotesti e paralleli (tanto semplice quanto meraviglioso quello tra natura incontaminata e civiltà urbanizzata. Libera e accogliente la prima, sospettosa e relegante allo status di barbone la seconda), Nella natura selvaggia è una pellicola dominata in lungo e in largo da una straordinaria prova attoriale fatta di corpo ed emozioni, offerta dal giovane e più che talentuoso Emile Hirsch, qui nel ruolo della sua consacrazione dopo le già convincenti prove in Lords of Dogtown e Alpha Dog. A vederlo così, meriterebbe almeno quattro, sacrosante, nomination per le prossime statuette dorate: miglior film, miglior attore protagonista, miglior sceneggiatura non originale e miglior colonna sonora. Il tempo dirà se avremo avuto ragione o meno. Per chi scrive, però, Into the wild ha vinto comunque. Di capolavori del genere, fatti di parole, immagini e musica, non se ne vedevano da tempo.

“Più che l’Amore, i Soldi, la Fama, datemi la Verità”.
Henry David Thoreau.

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19 novembre 2007

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