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e (ancora per poco) sulla pagina del vecchio dominio

CRONACHE DA VENEZIA 2011

Sezione in riallestimento (spiacevole sbavatura), doverose scuse senza scusanti. Rimettiamettiamoci, per ora, alla vecchia (ma completa) versione
(è possibile che in alcuni casi sia necessario sostituire il dominio "com" con "it" nella barra degli indirizzi)
A cura di Sandro Lozzi

REGIA: Danny Boyle
SCENEGGIATURA: Alex Garland
CAST: Cillian Murphy, Micelle Yeoh, Rose Byrne
ANNO: 2007

ODISSEA NELLO SPACCIO

Tanto per non disturbare nessuno, cominciamo cercando di inquadrare al meglio Sunshine, per quello che è. Il film si pone subito e totalmente sul piano della metafora, ambientando in un futuro poco più che prossimo eventi che non accadranno (almeno secondo la scienza che ci è dato di conoscere) tra meno di una manciata di miliardi di anni (e 8 minuti). Le incongruenze scientifiche, anche tralasciando gli aspetti e gli elementi metafisici, non si fermano certo qui, ed è per questo che, come dicevo, il film va serenamente letto sul piano allegorico, come modo di parlare d’altro, diversamente da quanto facevano altri kolossal catastrofici degli ultimi anni, come Armageddon o The day after tomorrow, che presentavano minacce in qualche modo possibili. Per questo motivo, faremo finta di non aver letto né ascoltato le dichiarazioni di Boyle in cui il regista parla di film scientifico o di eventi probabili; non ci interessa la verosimiglianza, e ci piace pensare che non interessi neanche ai cineasti.
Danny Boyle è autore perdente e ostinato, ogni volta i suoi film finiscono nel nulla tradendo le premesse, e ogni volta si ributta a capofitto nella prossima impresa; in fondo potevano essere ottimi film Trainspotting e The beach, ma dopo mezz’ora dall’inizio viene già voglia di spegnere il registratore, 28 giorni dopo ha un incipit fulminante che riesce a stento a strascicarsi fino a reggere tutto il film, Milions già mostrava la cartucciera vuota, e dopo questo Sunshine Boyle farebbe bella figura ad alzare bandiera bianca.

Poteva essere un ottimo film, Sunshine. Ma non lo è. È tutto allo stato potenziale, è tutto lasciato lì. Non sospensioni da cogliere ma vuoti da riempire. Un po' una filosofia da mobile ikea: della serie "io ci metto la materia, e cerco di incasinarla al punto da toglierle ogni forma, così che ognuno possa vederci quello che più lo aggrada e dargli un ordine coerente". Non è un film di sottrazioni Sunshine, e non è un film di assenze, ma un film di mancate presenze. Viene tenuto fuori ogni elemento potenzialmente significante affinché tutto sia totalmente malleabile.
La sperimentazione sulla materia filmica poteva essere elemento interessante, tantopiù nel contesto derivante del cinema odierno, ma si trasforma da subito in un accecante frastuono di eccessi, luce buio luce rumore, manco si stesse reinventando la camera oscura. Le suggestioni che gli elementi filmici allo stato brado possono indurre si fermano sulla superficie cui sono relegati, creando un divario incolmabile con la profondità dei temi che in questi modi si è deciso di affrontare.
Sunshine vuole essere un film su dio e sulla morte, oltre che (o quindi) sull’essere umano, e per esserlo si rifà a quelli che sono considerati i vertici di questo genere: Solaris di Tarkovskij, Alien di Scott (ma ancora più quello di Cameron), e soprattutto, evidentemente, il kubrickiano 2001: odissea nello spazio. Di quest’ultimo potrebbe forse essere addirittura letto come remake, con idee, sequenze e situazioni riprese pari pari, in blocco, dalla morte di Hal9000 all’occhio astrale, dalle pause e i silenzi ai conflitti e le relazioni, uomini-uomini, uomini-macchine, uomini-dio, uomini-storia, uomini-essere. E come nel più bieco cinema di Kubrick, Boyle mette in atto una truffa semiotica sullo spettatore manipolando i codici in modo da costringerlo a vedere quello che non c’è.
Ogni considerazione sulla maniera ridicola in cui si tirano le somme e si risolve il discorso, sarebbe superflua. Non mi piace sparare.

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04 maggio 2004

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