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CRONACHE DA VENEZIA 2011

Sezione in riallestimento (spiacevole sbavatura), doverose scuse senza scusanti. Rimettiamettiamoci, per ora, alla vecchia (ma completa) versione
(è possibile che in alcuni casi sia necessario sostituire il dominio "com" con "it" nella barra degli indirizzi)
A cura di Pierre Hombrebueno

REGIA: Clint Eastwood
SCENEGGIATURA: J. Michael Straczynski
CAST: Angelina Jolie, Jeffrey Donovan, John Malkovich
ANNO: 2008

DORMENDO COI FANTASMI

“Girare ogni scena come fosse la più importante del film”. Un insegnamento, una prerogativa estetica ed emozionale, un’Idea di Cinema che da opera in opera Eastwood cristallizza ed espande, magnificizza. Si può lamentare la mancanza di un climax ascendente con l’andatura della pellicola, si deve amare in quanto un’assenza di climax che sottolinea l’essere totale del film, dato che ogni scena è immediatamente vetta, punto d’arrivo. Non c’è il momento clou perché ogni sequenza è gestita al massimo della sua potenza evocativa, del suo respirare massiccio ed altrove (altrove cinematografico, altrove umano, altrove immaginato): Clint Eastwood emana pathos ad ogni respiro, delinea forme che passano attraverso gli occhi di uno che sa, che concepisce Storia per immagini maestose. Storia dell’America, interfaccia dei propri ideali e della propria morale, ma anche e soprattutto Storia del Cinema, che sopprime il colore di contorno in quanto Changeling è in verità totale film in bianco e nero, così come è ritornato bianco e nero la sigla iniziale della Universal, che trasporta ed immedesima la visione e l’approccio al Classico mai così limpido e toccabile come in quest’opera, ovviamente l’incisività di un Ford e di un Wyler, lo stesso sguardo lucidissimo, deciso, sicuro e solido, inattaccabile, che scaturisce  melodramma in un film che nel proprio intreccio non ha nulla di melodrammatico: non c’è impedimento amoroso, il no trespassing del genere. Il melò scorre invece nella forma, negli stacchi da un’inquadratura all’altra, la dissolvenza e i pochi secondi di quelle sovrimpressioni automaticamente retrò, nel cogliere e nel puntare sulla figura principale di una donna vittima ed oppressa, ruolo totale e totalizzante come non se ne vedevano da anni per un’attrice hollywoodiana. E invece Angelina Jolie è lì, sempre forte e oltre lo schermo (dritta al cuore): la sua intensità non cambia mai, cambia il modo in cui Eastwood la rende immagine con le sue inquadrature, ora con un primo piano frontale, poi con un dettaglio più ravvicinato, in quegl’occhi  che scavano dolore ed immediata lezione di fotogenia, poi ancora con un piano laterale e il viso nascosto/divorato da un’ombra espressionista che scava sulla fisicità del volto e del dolore, e quando la macchina da presa si allontana, il quadro insiste sulla fragilità di un corpo tremante, di un passerotto bagnato, in bilico tra il morire e il lottare, la disperazione e la forza. L’ultima volta che abbiamo visto la Jolie in un manicomio era per Ragazze interrotte di James Mangold, una performance da rockstar borderline e semi-impazzita che le ha portato l’Oscar; oggi la vediamo ritornare sui suoi passi ma con l’estrema maturità delle grandi dive del passato, Eastwood la prende per mano e le cuce attorno un’atmosfera paurosa e sporca di Fulleriana memoria, scava ombra oltre le sbarre, vecchie zombie in sedie a rotelle, l’urlo intenso di una lobotomia che col suo campo/controcampo sa quasi di fantascienza anni 50’,  mai indiretta metafora più chiara e spaventosa per dirci ciò che siamo diventati in questa tragedia denominata esistenza.

Quello che Clint Eastwood sottolinea in Changeling è l’assoluta urgenza della sua necessità morale (non sarebbe d’altronde sbagliato affermare che in questo film l’autore incarni proprio il predicatore estremista interpretato da John Malkovich), il suo disperato bisogno di scavare nello specchio di un’America smarrita, la stessa che hanno attraversato i suoi cavalieri pallidi (l’ambientazione del ranch è autentica ri-evocazione delle praterie Eastwoodiane più selvagge): il pericolo non è in un fuori-campo invisibile bensì lì, tangibile nell’alienazione cittadina, nella fantasmicità di una casa avvolta dall’ombra, di quel sentire minaccia ed insicurezza nel posto che chiamiamo casa. Il nemico è attorno e radicato nei profondi di una tradizione e di una società, stavolta Eastwood fotte la polizia, e come già in Potere Assoluto e Flags of our fathers, decostruisce un simbolo sotto l’occhio contemporaneamente politico e umano, mostra il crollo di una bandiera e di un valore, una nazione che si ritrova a combattere col proprio specchio, la propria immagine: ricordiamoci che l’Ispettore Callaghan sul suo distintivo ci sputava. C’è del marcio in America. Eastwood ce l’ha sempre raccontato con i suoi anti-eroi avvolti dal loro pessimismo cosmico, possiamo pensare a William Munny e il suo scontro finale con lo sceriffo (figura del potere e della presunta giustizia) ne Gli Spietati, ma anche alla fine tragica di Robert Butch Haynes ne Un mondo perfetto. Anche oggi il suo sguardo è più lucido che mai, sempre più contemplativo e potente; mette il nemico in mostra, dritto davanti all’obiettivo, prima col rigore etico delle scene in tribunale, asetticamente solide e con la compostezza dei grandi maestri, e poi con il momento dell’esecuzione, forse il frammento più sadico e spietato della filmografia Eastwoodiana: il suo occhio è disumano, e infrange il tabù della morte rappresentata in una frazione di gelida lucidità immediatamente indelebile perché urlo implicito ed agonizzante. Siamo in un Cinema dove il nero inchiostro si tinge di purezza, la regia di Eastwood ri-congiunge nuovamente la perfezione idilliaca di una messa in scena capace di non farti più avvertire gli stacchi di montaggio tanto è fluida e trascendentale, il sogno di Billy Wilder che si realizza sullo schermo mezzo secolo dopo, è qui, è ora, è Changeling.

Film immenso che prima ti stringe il cuore e poi ti immerge in un labirinto emotivo, un punto in cui tutto è così annientato da essere totale grigio, lo spazio preferito di Eastwood, quello dell’ambiguità e della riflessione morale. E poi, l’(eterna)illusione di un concetto, la “Speranza”, remota possibilità da cogliere in un tempo prossimo, che forse può concretizzarsi in un film di Frank Capra (guardacaso citato nel film con Accadde una notte), ma non qui, non con Eastwood.

In Million Dollar Baby il padre uccide la figlia per Amore. In Changeling, sempre per Amore, la madre lo tiene in vita nonostante il suo non essere/non esserci/non esistere. Non sappiamo se c'è speranza, ma ieri come oggi siamo solamente dei perdenti, silenziosamente abbracciati ai nostri fantasmi.

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20 novembre 2008

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