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e (ancora per poco) sulla pagina del vecchio dominio

CRONACHE DA VENEZIA 2011

Sezione in riallestimento (spiacevole sbavatura), doverose scuse senza scusanti. Rimettiamettiamoci, per ora, alla vecchia (ma completa) versione
(è possibile che in alcuni casi sia necessario sostituire il dominio "com" con "it" nella barra degli indirizzi)
A cura di Pierre Hombrebueno

REGIA: Mike Newell
CAST: Daniel Radcliffe, Emma Watson, Rupert Grint
SCENEGGIATURA: Steve Kloves
ANNO: 2005

(PRE)GIUDIZI (PRE)CONFERMATI

Il dubbio frenetico mi venne nello stesso preciso istante in cui fu annunciato il nome di Mike Newell (4 matrimoni e un funerale) come successore di Alfonso Cuaròn. Infatti, se i primi due film di Chris Columbus servivano come introduzione descrittiva al mondo del (allora) piccolo Harry Potter, in Alfonso Cuaròn abbiamo avuto un (grande) stacco netto. Con l’autore di Y tu mamà tambièn, siamo difatti entrati nel passaggio da bambino ad adolescente, con tutte le paranoie che questo consegue. La saga di Harry Potter, dunque, aveva iniziato un percorso ascendentale alla scoperta delle psiche emotive di questi bambini che stavano diventando ragazzi, assumendo così una valenza formativa che disegnava magnificamente un passaggio necessario e difficile nella vita dei protagonisti, preannunciando la fine della magia fanciullesca per interiorizzarsi nella crescita.
Ereditare la torcia da un geniale scopritore di adolescenti come Cuaròn non era quindi un facile privilegio.
Con Newell avevamo già avuto traumi precedenti su questa scottante tematica, come la depistazione alla Attimo fuggente di Mona Lisa Smile, dove all’indagine introspettiva si predilige lasciarsi andare la mano con narcisismi per teenager brufolosi alla Dawson’s Creek.

Purtroppo le nostre paure si avverano, e subiscono lo stesso trattamento i nostri eroini Harry, Ron, e Hermione, le cui trasformazioni fisiche sono a dir poco strabilianti (sembrano tutti e 3 ventenni ormai). E proprio su questa fisicità sembra imporsi la mano di Newell, in una malizia che ha poca della sociologica; non hanno torto coloro che definiscono Il calice di fuoco come un “film per guardoni”, che scava nella trasformazione di Daniel Radcliffe da gracile fanciullo a omone muscoloso con tanti peli sotto le ascelle, oppure Emma Watson, che qua vediamo per la prima volta in tutta la sua bellezza da reginetta del ballo liceale di fine anno scolastico.
In questo senso, diventa emblematico il teaser della pellicola girato per la rete già mesi fa, un frammento di 30 secondi che mostrava abilmente le trasformazioni fisiche dei 3 protagonisti da film a film.
Rispetto Cuaròn però, il passo è all’indietro, fino a La camera dei segreti, dove il concentramento narrativo si focalizzava sul gusto dell’avventura, e non su un’introspezione spirituale e metadermica. Questi ragazzi sembrano ingranditi solo fisicamente, e non mentalmente. (In)necessariamente, si spezza il climax creatosi nella saga, si rompe quella catena di crescita adolescenziale che stava pian piano avvenendo nei personaggi, per colpa di una mancanza evocativa delle atmosfere cupe e noir che rispecchiavano la confusione del passaggio bambino-adulto.

Newell non sa realmente come trasporre in immagini le parti più importanti ed interessanti del libro, come le delusioni amorose, le gelosie, e i litigi, tematiche mai analizzate con occhio acuto e brillante, anzi, a volte, sono addirittura evitate come la peste bubbonica (per esempio, manca il passaggio del riconciliamento tra Hermione e Ron dopo il loro piccolo grande litigio durante la cerimonia del ballo).
E poi, quell’avvenimento importantissimo della morte del compagno di scuola, la prima veramente in diretta dall’inizio della saga, una svolta nella mente di Harry et co. che non viene metabolizzata ed indagata, perché Newell rifiuta l’elaborazione del lutto, preferendo solamente accennare senza affondare la mano, in quanto è privo di un talento capace di portare a galla le emotive più nascoste dei suoi personaggi.
Il regista, dunque, ha una visione superficiale dell’universo potteriano, che mette in scena affidandosi completamente agl’effetti visivi, che per fortuna (almeno quelli), sono gestiti in maniera eccellente, come il combattimento tra Harry e il drago, seguito da una macchina da presa che imprime la dinamicità e l’euforia iperbolica dell’eccitazione mista a paura.
Newell sa che il suo pubblico è già un aficionado del mondo creato da Rowling, non ha più bisogno di spiegare che cos’è Azkaban o chi è Sirius Black; confeziona dunque un divertissement che ogni fan privo di spirito critico godrebbe passivamente, intrattenendosi in questa cornice a cui ormai è abituato perché lo segue da anni, come una lunga telenovela che in fondo al cuore spera che non finisca mai. Ma parlando di telenovele, Il calice di fuoco si potrebbe considerare come una di quelle puntate dove non succede assolutamente nulla che aggiunga al tessuto narrativo più di quanto ormai già sappiamo, una sorta di intervallo fra i due tempi che realmente contano. Con la differenza che in questo film, oltre a non succedere niente, persiste anche una carica di superficialità veramente fastidiosa e deludente.

28 novembre 2005

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