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e (ancora per poco) sulla pagina del vecchio dominio

CRONACHE DA VENEZIA 2011

Sezione in riallestimento (spiacevole sbavatura), doverose scuse senza scusanti. Rimettiamettiamoci, per ora, alla vecchia (ma completa) versione
(è possibile che in alcuni casi sia necessario sostituire il dominio "com" con "it" nella barra degli indirizzi)
A cura di Alessandro Tavola

REGIA: Oliver Stone. E si spera sia un caso di omonimia
SCENEGGIATURA: Mulino Bianco, reparto Commercials
CAST: Inesistente
ANNO: 2006

VENEZIA 2006: GOD SAVE THE STONE: GROUND ZERO (DEL CINEMA)

Annullamento. Negazione. Vuoto assoluto. Morte. Lobotomia.
Prendete l’avvenimento più brutto della vostra vita, quello della cancellazione di tutte le aspettative, di tutti i sogni, ma anche del semplice accontentarsi, della semplice indifferenza. Quella sensazione di conato e di pianto. Di magone. Claustrofobia.
Bene. È questo l’effetto provocato da World Trade Center.
Sì trattasse di un qualsiasi capolavoro di Kitano, Cronenberg o Lynch queste parole avrebbero valenza positiva. Ma si tratta di Oliver Stone, o perlomeno quello è il nome scritto nei titoli e la persona nelle foto di scena, il volto di chi ha partecipato alle conferenze e firmato autografi.
Amandolo, odiandolo, ignorandolo non si può negli anni non aver riconosciuto in lui delle caratteristiche ben precise, a volte magari troppo forti o compresse, psichedelia, funambolismi di costruzione, una certa ricerca di durezza in storie e messe in scena volutamente marmoree, ma qui tutto ciò non esiste più.
Va benissimo che lo spirito americanista compianga palesemente l’11 settembre anche sul grande schermo e che la macchina hollywoodiana assoldi uno dei suoi grandi maestri per raccontare la storia di due mister x che diventano eroi durante l’evento, tutto attraverso una trama volutamente scarna: spesso le regie danno il meglio di sé in situazioni del genere (Raimi con gli Spider-man), ma qui l’estremo folle genitore di Natural Born Killers si è ridotto ad un eunuco.
Non è un venduto, non è uno che ha toppato, non è uno che ha messo da parte la forma per il contenuto. È uno che ha deciso di uccidere se stesso, il proprio stile, i propri connotati visivi e morali (da e verso il Cinema).
WTC non è un venuto male, troppo frivolo, troppo marcato o troppo semplicista, ma semplicemente non è un film, nel 2006, e non lo sarebbe stato neanche nel 1930 probabilmente. Non è immagini (se non da spot). Non è parole (se non da Christian rock). È una marchetta, un’apoteosi di banalità audiovisive. È l’annichilimento di qualsiasi gusto del costruire per immagini e soprattutto del guardarle. È la voglia di diventare sordi e ciechi per 130 minuti.

Lo scorrere (arrancare) delle immagini è di quanto più scialbo e inutile si sia visto negli ultimi anni su pellicola, in una completa assenza di gusto estetico, un costruire lineare indegno anche per un ipotetico “Filmaking for dummies”, tedio per un qualsiasi occhio e voglia di eutanasia per qualsiasi decano stoniano, un’assenza di emozioni che potrebbe fare a gara con l’attesa dell’autobus.
Le interpretazioni sono praticamente assenti, Cage e compagnia si fanno semplicemente bocche dalle quali escono parole parole parole, una marea di frasi fatte ormai lontane anche dalle più infime fiction tv o dal pozzo disneyano, e tutta la vicenda assume connotati che non riescono neanche ad essere ridicoli, non riescono neanche ad essere. Solo due tizi bloccati sotto delle macerie che parlano di tutto ciò che uno spettatore non vorrebbe sentire, e le mogliettine a casa pure. Sentimentalismi da supermercato. Battute da Beautiful. Chiacchiericcio da canzonetta pop. Van Damme aveva script migliori.
L’ormai famosa scena di Cristo che appare con la bottiglietta non riesce quasi ad essere presa per il culo, non riesce quasi ad essere ricordata.
Neanche i primi 20 minuti riescono a tenersi in piedi visto che pure la semplice action scarseggia, così pure gli effetti speciali che talvolta appaiono, innocui, innalzando solo il valore dei blockbuster di Emmerich e Bay.
Morte delle sicurezze statunitensi dipinte quali morte del cinema: questo l’unico concetto che regge. Ma anche no.
Ceneri delle torri gemelle, ceneri della torcia dello splendore filmico (già ben spazzate via), ceneri (troppe o troppo poche) della ganja di Stone e dei soldi che si è preso magari per adempiere a doveri contrattuali sugli incassi del caro vecchio Alexander. Major strozzine. Stone Il coraggioso.

Non sono un cinico o un infame. Tanto meno qualcuno che gode nel massacrare gratuitamente i film. Semplicemente rido per non piangere. Requiem (speriamo momentaneo) per colui che riuscì a raccontare Alessandro Magno nella sua identità omosessuale, fece ricevere un oscar a Michael Douglas e che adesso non riesce (o non vuole) neanche gestire un primo piano buio di Nicholas Cage.

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27 settembre 2006

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