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CRONACHE DA VENEZIA 2011

Sezione in riallestimento (spiacevole sbavatura), doverose scuse senza scusanti. Rimettiamettiamoci, per ora, alla vecchia (ma completa) versione
(è possibile che in alcuni casi sia necessario sostituire il dominio "com" con "it" nella barra degli indirizzi)
A cura di Pierre Hombrebueno e Sandro Lozzi

REGIA: M. Night Shyamalan
CAST: Paul Giamatti, Bryce Dallas Howard, M.Night Shyamalan
SCENEGGIATURA: M.Night Shyamalan
ANNO: 2006

AN UNBREAKABLE VILLAGE

Richiami, echi, ragnatele. La co-esistenza, vero nucleo finalmente disegnatosi al completo, quello della (magnifica) filmografia di Shyamalan, autore riflesso e riflettente che lega indissolubilmente le unità del suo Cinema in un tutt’uno, un progetto di globalizzazione tra spazi e tempi viaggianti tra passato/presente/futuro. Perché in Lady in the Water, necessariamente, tutte le opere del filmaker si amalgamano abbracciandosi e perforandosi come specchi, o semplicemente come acqua, ossessione preliminare della salvezza, come punto debole degl’alieni in Signs, o come fonte d’esistenza di Bryce Dallas Howard in versione ninfa. Dunque la meta-fisica del riflesso, del guardarsi e interrogarsi sul mondo e sull’essere uomo, ed in fondo tutte le pellicole firmate M.Night Shyamalan non sono altro che riflessi(oni) sulla vita, un continuo approciarsi all’esistenza / non-esistenza.
Ecco perché Lady in the water è l’esatto clone opposto di The Village: Entrambi isolatosi dal resto del mondo e dell’umanità, entrambi circondati dalla paura, che in Lady in the water si esplicita maggiormente nello sguardo filtrato tramite la televisione, unico medium tra il residence e il mondo esteriore, mostrato solamente tramite orrori di guerra e distruzione. E mentre gl’anziani del villaggio si ritirarono in una paura nichilista, l’unica che ha avuto il coraggio di varcare le soglie e lottare è Ivy, la stessa Ivy che qua ritroviamo moltiplicata, perché gl’abitanti sotto la guida di Paul Giamatti non sono altro che delle Ivy nuovamente confinate in un micro-cosmo, farcite di coraggio e della voglia di ritagliarsi la salvezza da questo mondo in declino.
Lady in the water è quindi un film sulla Speranza, e in questo vediamo finalmente Shyamalan abbracciare perfettamente un altro autore che ha sempre citato e amato, Steven Spielberg. La ninfa dell’acqua non è lo stesso E.T arrivato tra gli uomini per cambiarne le direzioni di vita? E Giamatti non è solamente un nuovo Richard Dreyfuss che affronta il suo incontro ravvicinato del terzo tipo?
Ma Lady in the water è anche un nuovo Unbreakable in altri spazi e altri tempi. Un enorme gioco di ruolo (Il guaritore, il protettore, la ninfa, ecc) proprio come i personaggi fumettistici interpretati da Bruce Willis e Samuel L.Jackson; un percorso di crescita che infine porterà l’accettazione del proprio ruolo in questo cosmo, di neo-Salvatore o di Anti-Cristo qualsivoglia.
Subentra dunque il discorso della fede, questa volta non più solo verso un creatore o il futuro (come in Signs) ma anche verso il Cinema, la storia del Cinema (la ninfa protagonista, guardacaso, si chiama proprio Story), valenza che l’autore affronta soprattutto tramite il personaggio del Signor Farber, il critico cinematografico consapevole dell’impossibilità di raccontare ancora nuove storie, uomo ormai incapace di emozionarsi perché crede di prevedere e conoscere tutto, prima di ritrovare sé stesso in una storia (“scena horror”, come egli definisce) che lo vedrà soccombere proprio per la mancanza di fede verso l’incredibile e  l’irrazionale. Perché nel Cinema di Shyamalan (così come nel Cinema di Spielberg), solamente chi ha il coraggio di sognare riesce a vedere il miracolo (nuovamente Dreyfuss, ma anche ViktorTom HanksNavorski, tanto per rimanere nella filmografia recente del papà di E.T).
Non è dunque un caso se per la prima volta, l’autore indiano decide finalmente di ritagliarsi più spazio invece dei suoi soliti camei. Perché Lady in the water non è un punto di partenza, ma un punto d’arrivo: Egli è lì insieme ai suoi protagonisti, contribuisce in maniera esplicita (e visiva) al cambiamento del mondo e al riscatto. Un cambiamento di marcia, che se prima vedeva le sue apparizioni incarnati nella “paura da rinnegare e da cui scappare” (in The Village è il guardiano che rappresenta la città e la modernità da cui i protagonisti sono fuggiti, mentre in Signs l’uccisore della moglie di Mel Gibson), stavolta si tramuta invece nell’esatto contrario, nel simbolo di rinascita per la generazione futura.
Pura messa in scena Shyamalan, con quei carrelli raso-terra, soggettiva del pericolo e creatori di tensione, con quello sguardo della macchina da presa sempre meditativa e riflettente che stavolta si bagna di magnifica pioggia (“simbolo di purificazione e rinascita”, come dice Giamatti stesso), e quell’occhio del Cinema che insieme alla Ninfa, si butta in acqua e da lì osserva i suoi personaggi al compimento della loro missione e finalmente pronti per un nuovo domani, un nuovo Cinema che i fedeli hanno percepito tramite un filtro blu. Il percorso universale cambierà, la fiducia e la speranza ri-emergeranno dai fantasmi, dagl’alieni, e anche dalle macerie di guerra.

M.Night Shyamalan ha compiuto il suo quinto miracolo. (P.H)

SALTO TRIPLO PER GUARIRE IL MONDO: UNO SGUARDO A TRE MOMENTI DEL FILM

"Questa è morale di favola: a nessuno viene detto chi è davvero". Con queste parole pronunciate da Young-Soon Choi, Shyamalan esplicita nel modo più chiaro possibile il significato del suo ultimo (capo)lavoro, da leggersi comunque nell'ottica fornita dalle parole con cui si chiude il prologo animato del film: "L'uomo forse non sa più ascoltare".
L'uomo deve dunque re-imparare ad ascoltare, ad ascoltarsi, a confrontarsi, a fidarsi di sé e degli altri, per determinarsi, per imboccare la strada giusta, perché il vivere sociale abbia un senso.
Con queste premesse, diamo uno sguardo più da vicino all'evoluzione che compie il protagonista (interpretato da un favoloso - nel senso più letterale del termine - Paul Giamatti), Cleveland, custode del residence che fa da unica grande scenografia del film (echi di Rear window?). Seguiamo, attraverso tre tappe, tre momenti filmici determinanti, la strada che percorre per arrivare a determinare il suo "vero" ruolo", per capire chi è davvero.

Subito dopo il prologo animato, il film si apre con la scena di Cleveland che nell'appartamento della famiglia dei Perez de la Torre è dedito a dare la caccia ad un insetto per poi schiacciarlo, non senza difficoltà. Tutta la micro-sequenza dell'eliminazione dell'insetto è ripresa in un'unica inquadratura, primo piano su Giamatti. Il custode descrive l'insetto, il disgusto e la paura, lo schiaccia e descrive l'esecuzione, ma l'insetto non lo vediamo (così come non lo vedono i membri della famiglia dell'appartamento), la mdp resta sul volto di Giamatti. La sequenza serve sì per introdurre (anche e soprattutto psicologicamente) il personaggio, ma già comincia a offrire chiavi di lettura, o almeno a smazzare le carte. L'insetto sarà davvero enorme, peloso e viscido come lo descrive Cleveland, o sarà poco più che una robusta formica? Di più, l'insetto ci sarà davvero dietro quelle travi dove Giamatti armeggia col bastone, o il suo personaggio sta liquidando la faccenda con una messinscena, vuoi per paura di incontrare davvero l'insetto e che sia davvero enorme e spaventoso, vuoi per non fare brutta figura con gli inquilini?
In poche parole: quanto ci fidiamo, a primo impatto, del personaggio di Cleveland? Qual è la sua parte (la sua maschera, per dirla con Pirandello)?

Dopo pochi minuti (di film), Cleveland a bordo della piscina vede per la prima volta la ragazza nuotare nell'acqua. Non sa ancora chi è, attraverso l'acqua non riesce a vederla bene. La esorta a uscire fuori dalla piscina, ma senza troppa convinzione. "Non è prudente" le urla, ma non crede molto nelle capacità dissuasive del suo goffo intervento, e infatti nel frattempo ha già iniziato a scendere i gradini del bordo piscina, per andarla a prendere di peso.
In questi momenti (cioè quando parla alla ragazza, prima di entrare completamente in acqua) viene di nuovo ripreso solo lui, frontalmente. La ragazza l'abbiamo intravista per una frazione di secondo all'inizio della sequenza, e non ci viene mostrata prima della scena successiva. Per ora non c'è motivo di dirci qualcos'altro sulla ragazza più del fatto che Cleveland l'ha intravista e che è nella piscina. Per ora invece c'è da indagare su Cleveland. La macchina da presa è allora tutta per lui, crea una tensione snervante relegando di nuovo (come nella sequenza d'apertura - ma anche come in tutto il cinema di Shyamalan) nel fuoricampo l'oggetto che richiede l'azione, più o meno coraggiosa, del protagonista. Qui però la mdp scava a fondo all'interno dei pensieri del personaggio, mentre nella prima sequenza quasi indagava su di noi mostrando Cleveland, ci costringeva a chiederci quanto potessimo credere in lui; qui interroga direttamente il personaggio - manco a dirlo - sulla sua fede, su quello in cui crede, su quanto crede, anche e soprattutto in sé stesso.

Il terzo momento è forse quello culminante per quanto concerne il discorso portato avanti dal film. Nello spogliatoio, finalmente i personaggi ricompongono i pezzi del puzzle, e dopo aver trovato il "vero" Interprete stabiliscono anche gli altri ruoli, le sette sorelle (il "vero" Sodalizio), l'uomo senza segreti, l'uomo della cui opinione si ha il massimo rispetto, il "vero" Guaritore. Giamatti abbraccia Story. Dovrebbe dire qualcosa, per guidare la cerimonia. Ed è qui che Cleveland va incontro al suo destino, e noi incontro a Cleveland. Qui Cleveland mette tutte le carte in tavola, è una guida, gli altri devono fidarsi di lui, devono poter credere in lui, e allora si libera finalmente di quel segreto che probabilmente lo rendeva così insicuro e quindi, agli occhi dei condomini, non del tutto affidabile. A Story si rimarginano le ferite. Story è il mondo, e guarisce dai suoi mali perché finalmente c'è un po' di speranza, perché gli uomini si fidano, credono, e credono ognuno nell'altro. La sua missione è compiuta, come quella di Cleveland.

Nel primo dei tre momenti, dunque, siamo noi spettatori che, in una sorta di discussione maieutica con l'autore, ci poniamo il problema di fidarci di Cleveland; nel secondo è Cleveland a mostrare di avere poca fiducia in sé stesso; in quello definitivo, Cleveland fa in modo che tutti si fidino di lui.
Di nuovo una geniale allegoria sulla fede. Di nuovo un film sull'uomo.
D'altronde, non è forse di lui che hanno sempre parlato le favole? (S.L)

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05 ottobre 2006

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