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CRONACHE DA VENEZIA 2011

A cura di Luca Lombardini

SCHERZARE CON I MORTI: THE GREAT ROCK’N’ROLL SWINDLE di JULIEN TEMPLE - (1980)

Quando The Great R’N’R Swindle vide la luce nelle sale, correva la primavera dell’anno 1980. I cadaveri di cui il film si fa beffe, quindi, sono due: Sid Vicious (morto da un anno), e i Sex Pistols, implosi sulle macerie di loro stessi al termine del disastroso tour americano datato 1978, “culminato” nella sgangherata cover di No Fun in quel di Winterland, San Francisco. La pellicola è il parto rabberciato e deforme dell’idea originaria che McLaren intendeva commissionare a Russ Mayer nel 1977, periodo di massima diffusione del fenomeno punk-rock, durante il quale, come cantavano i Clash, Londra bruciava ancora. Accantonato il progetto primigenio causa la mancata emissione delle buste paga da parte dello stesso McLaren (uno a cui i soldi piaceva sgraffignarli qua e la, ma al solo scopo di tenerseli ben al sicuro nelle sue rigonfie tasche), il film riprende quota sotto la supervisione di Julien Temple, regista che aveva già gravitato nell’entourage dei quattro hooligans del punk, durante la lavorazione del cortometraggio Sex Pistols Number 1. Obiettivo dichiarato del manager arraffa quattrini, “fare le nozze con i fichi secchi”. Ecco che fin dalle prime battute, TGR’N’RS si palesa per quello che (non) è: un finto documentario in stile patchwork, stiracchiato fino all’inverosimile attraverso l’utilizzo di materiale di repertorio e sequenze al limite del delirante, montate senza soluzione di continuità, con il solo obiettivo di raggiungere la durata minima necessaria al passaggio in sala. Ripudiato Lydon/Rotten (già da tempo impegnato con la sua nuova creatura Public Image Limited), la pellicola si trasforma nella testimonianza di celluloide delle presunte doti di burattinaio del rosso Malcon, con tanto di dieci tavole recanti le regole base per orchestrare e portare a termine una perfetta truffa musicale. Le quattro Pistole del Sesso vengono dipinte come innocui burattini assetati di birra scadente e anfetamine, il frontman, l’uomo dagli occhi spiritati e dal fare antistar, simbolo della rivolta londinese, viene sostituito da una maschera di lattice. Vicious è un rottame ambulante e narcolettico, mentre Cook e Jones impersonificano al meglio la parte dei deficienti lobotomizzati, con il primo quasi violentato su un auto dai giovanissimi Police, e il secondo, impegnato a girovagare di notte come un cretino che cerca di imitare Bogart nell’abbigliamento. Di ciò che è stato, musicalmente e sociologicamente, il movimento punk non vi è traccia. Qui c’è spazio solo per la visione mercantilistica del fenomeno (a ragion del vero non del tutto campata in aria), propria del McLaren pensiero. E’ lui il vero protagonista dell’operazione e, assieme a lui, i trucchi e le polemiche innescate ad arte per spillare sterline sonanti alle case discografiche prime, e aggiudicarsi le prime pagine dei quotidiani poi. The Great Rock’N’Roll Swidle è lo sghignazzo che sembra regalare la vittoria finale all’ex manager dei New York Dolls. Per fortuna sarà lo stesso Julien Temple, vent’anni dopo, a far ridere (anche se amaramente) per ultimo, chi merita veramente.

“AND WE DIE YOUNG”: SID & NANCY di ALEX COX - (1986)

Con tutta probabilità è per questo film che ci si ricorderà di Alex Cox. Regista che, più di chiunque altro, può vantarsi dell’etichetta di “punk director”. La pellicola esordisce sul grande schermo durante i “festeggiamenti” per il decennale del movimento, e si pone fin da subito un nobile quanto originale scopo: ripulire l’immagine della coppia maledetta, e disintossicare l’icona Vicious (al secolo John Simon Ritchie) dalle stampe per magliette recanti la data di nascita e morte. Più che un’operazione cinematografica un atto d’amore spassionato impresso su celluloide, che precipita a testa in giù in una spirale infernale fatta di autodistruzione romantica. All’autore di Repo Man e Straight to Hell sembra non interessare più di tanto la parte relativa alla “parentesi” londinese del protagonista. Quest’ultima, relegata alla primissima parte dell’opera, viene risolta con fare un po’ semplicistico, sacrificio indispensabile per inquadrare nel migliore dei modi il lato infantile e immaturo di un ragazzo di 21 anni, divenuto, suo malgrado, l’impersonificazione del motto “vivi veloce, muori giovane, lascia un bel cadavere”. Sid & Nancy nasce dove i Sex Pistols muoiono. Vicious è un corpo estraneo al gruppo: quando suona l’amplificatore non funziona (cosa che gli è capitata spesso durante la sua “carriera” reale), durante la celebre esibizione in “onore” della Regina, abbandona i suoi per avvinghiarsi all’amata nel bagno del battello, mentre del tour americano rimangono solo i tagli sul corpo e il sangue che sgorga da essi. Cox conosce a mena dito la materia con la quale ha a che fare, non cade mai nella facile trappola del vittimismo, e raffigura i due per quello che sono: due ragazzi cascati in un gioco più grande di loro, prodotti di un star system malato e goloso di scandali, teenager vittime di una moda che, oltre alla divisa da ribelle, prevede l’ago in una vena. Sid e Nancy sono fatti l’uno per l’altra, due metà tossiche che si incontrano per morire passo passo, dose dopo dose, illusione dopo illusione. Nessuno dei due aiuta l’altro, perché entrambi sono incapaci di fare del bene. Sono giovani (<<troppo>> come dirà Lydon in una battuta di Oscenità e Furore), ingenui e inconsapevoli di ciò che è la vita: esseri alienati che diventano la raffigurazione in carne, ossa e eroina del No Future. Cinematograficamente parlando, comunque, il film non si discute. New York viene immortalata alla perfezione tra vicoli, strade, notti in taxi e camere d’albergo. Almeno tre le sequenze mozzafiato: la passeggiata invisibile dei due una volta raggiunte le rive del Tamigi (sagome anonime che scorrono via nonostante intorno a loro stia scoppiando l’inferno), il bacio e l’abbraccio spontaneo nei pressi di un cassonetto mentre piove immondizia, l’esibizione di un superlativo Gary Oldman mentre rifà la cover di My Way, chiudendo la sua performance sparando sul pubblico; naturalmente senza risparmiare la sua bella vestita di tutto punto, che si alza e lo raggiunge sulla scalinata mentre si spengono le luci. Momenti di grande cinema, che toccano il cuore di chi i Pistols li ha amati, e ammalano l’animo dello spettatore che si avvicina alla visione vergine nei sentimenti e ignorante nelle orecchie. Sid & Nancy riassume in due figure tutto sommato marginali (Vicious, eccetto la semi blasfema Belsen Was a Gas, ha dato poco o nulla ai Sex Pistols gruppo. Le linee di basso di Nevermind the bollocks, infatti, vennero incise dal chitarrista Steve Jones), la morale nichilista e autodistruttiva propria dell’ideologia punk. Come il fenomeno in se, la sua vittima più eccellente si spegne nel giro di poco tempo, Cox lo sa e lascia che il film si arresti sul suono di un boombox: cala il sipario, partono i titoli di coda, bisogna lasciare spazio ad una nuova moda ed ad altri martiri.

RIPULIRSI LA COSCIENZA: THE FILTH AND THE FURY (SEX PISTOLS OSCENITA’ E FURORE) di JULIEN TEMPLE - (2000)

A vent’anni esatti dal pasticcio moral-cinematografico meglio conosciuto con il nome di The Great Rock’N’Roll Swindle, Julien Temple si mette una mano sul cuore e richiama la formazione originale dei Sex Pistols davanti la macchina da presa. I quattro sono reduci dal tour che li ha visti riunirsi dal vivo a metà anni novanta, e colgono al volo l’occasione per dire finalmente la loro sul biennio ’76 ’78. Lydon, Jones, Cook e Matlock prendono parte al viaggio nel passato senza che sia possibile guardarli in viso (“come pentiti di mafia”. Una più che azzeccata similitudine che appartiene alla penna di Roberto Curti), oscurati in volto, ma finalmente liberi di dire la loro su quei due, formidabili, anni. Il primo regalo che The Filth and the Fury fa allo spettatore, riguarda la lucida analisi politico/sociale all’interno della quale vanno individuate le radici del punk: il disastro bugiardo del partito laburista, la disoccupazione dilagante, il fallimento su lungo e medio termine della cultura dei figli dei fiori prima, e della swinging London poi. I Sex Pistols nascono tra le case popolari e gli scioperi dei netturbini (<<mi ricoprii letteralmente di spazzatura>> racconta Lydon), crescono alla boutique Sex, e si affermano vomitando tutta la loro naturale e spontanea rabbia metropolitana nel programma Today. Temple dimostra con i fatti la sua crescita tecnica, e affina l’arte del collage in movimento con una serie di innesti che hanno del miracoloso. Il parallelo tra Rotten e Riccardo III calza a pennello (<<Deforme! Incompiuto!>>), così come risulta divertentissima la parodia preistorica delle classifiche dell’epoca (poveri Emerson Lake & Palmer…). Eccellenti poi, alcune sovrapposizioni tra immagini e musica: Rotten che “rivaleggia” con i Bay City Rollers, o lo “stop and go” di Bodies, che si rompe sui faccioni bolsi e incartapecoriti dei censori dell’Anarchy in the UK tour (<<Fuck this/Fuck that….>>). Tanto preciso nell’individuare il seme originario del punk, quanto realista e veritiero nel sottolineare il virus che lo distrusse, Oscenità e Furore punta il dito contro il riassorbimento nel/dal sistema che trasformò l’essere se stessi in una moda a base di cresta, chiodo e anfibi (<<il punk da cartolina>>). Ma la vera forza del film è un’altra, e risiede tutta nel lato emotivo. Se Sid & Nancy era un una pellicola in grado di immalinconire lo spettatore, The Filth and the Fury somministra razioni di dolore e rimpianto capaci di fare veramente del male. Mai Lydon, portabandiera dell’ironia tagliente e dell’essere sempre contro tutto e tutti, aveva dato così tanto libero sfogo ai suoi sentimenti. Il rimorso dovuto all’ impotenza per la morte prematura dell’amico d’infanzia è una ferita ancora lontana dal rimarginarsi, la rabbia per lo sfruttamento a posteriori di un cadavere che diventa business cova, immutata, sotto pelle:<<Non si può essere più cattivi di così vero Julien? Tu lo sai, non c’è nessun rispetto>>. E ancora: <<Vicious, poveraccio>>. Parole pronunciate da una voce spezzata che lotta contro un groppo alla gola. Un clima di rassegnazione e di definitivo realizzare della compiuta tragedia, palesato dall’atteggiamento degli altri tre, che raramente hanno chiesto così tante volte scusa al loro ex compagno (uno su tutti Steve Jones: <<chiedo scusa a John per essermela svignata così>>). L’intera parte finale di Oscenità e furore è un inno alla malinconia e al rammarico, un film nel film che trova la sua naturale conclusione nell’esecuzione di No Fun degli Stooges, coda mozzata ad una lucertola ormai sfinita, che guizza distorta e scordata verso un epilogo scontato. Santo e lapidario a tal proposito, il commento di Lydon: <<I Sex Pistols finirono al momento giusto per il motivo sbagliato>>.

Dall’inferno si esce in un solo modo. Trovando la via che porta dritta alla leggenda. Quello che hanno fatto i Sex Pistols.
03 luglio 2007

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