REGIA: Sean Penn
SCENEGGIATURA: Sean Penn
CAST: Emile Hirsch, Marcia Gay Harden, William Hurt
ANNO: 2007
ROMA 2007: ALEXANDER SUPERTRAMP
“Vi è un incanto nei boschi senza sentiero
Vi è un’estasi sulla spiaggia solitaria
Vi è un asilo dove nessun importuno penetra
In riva all’acque del mare profondo
E vi è un’armonia nel frangersi delle onde
Non amo meno gli uomini ma più la natura”.
Domanda: cosa trasforma un film in un capolavoro? Risposta: parole, immagini e musica. Into the wild possiede tutte tre le prerogative appena elencate, e le lascia libere di ammaliare lo spettatore fin dall’incipit, marchiato a fuoco dal rincorrersi dei versi di Lord Byron. L’ultima fatica dietro la macchina da presa di Sean Penn è molto di più che la semplice trasposizione cinematografica del best seller di Jon Krakauer: poeticamente immenso, visivamente maestoso, cullato dall’indimenticabile ed enfatica colonna sonora firmata Eddie Vedder, Into the wild regala immortalità al personaggio di Christopher McCandless, e riporta d’attualità tematiche londoniane legate a doppio nodo alla cultura a stelle e strisce. Non ingannino le citazioni sparse di Tolstoj, Pastrenak o Thoreau, comunque mai fini a se stesse e capaci di infondere una profondità di pensiero e riflessione che va al di la del film in sé (dote questa, ormai quasi del tutto irrintracciabile nel cinema statunitense cosiddetto d’autore); Nella natura selvaggia è una pellicola che trae linfa vitale dalle sue origini profondamente legate alle radici di un certo immaginario americano, costruita attorno ad affascinanti ed eterne contraddizioni come il legame/schiavitù con la famiglia d’origine, il conflitto tra individualismo e necessità di rapporti interpersonali, o le antinomie ideologiche derivanti dalla ricerca di una verità. Qualunque essa sia. Un Furore contemporaneo, stilisticamente diretto come solo Anthony Mann avrebbe saputo fare e attraversato da momenti che riportano alla mente l’ultimo Herzog (attenzione alla simbologia istantanea e immediata dell’orso, inevitabile richiamo a Grizzly Man e al relativo destino di entrambi i protagonisti, fagocitati dalla loro stessa ragione di vita). Quasi inaspettatamente, Penn estrae dal cilindro un’opera monumentale, “un dramma struggente sul tema del desiderio umano”, che stravince sulla breve e lunga distanza il duello festivaliero con il criptico e presuntuoso Coppola, e relega al ruolo di comprimari filmografici, immeritato ma a posteriori giustificato, le pur ottime precedenti prove da regista (Lupo solitario, Tre giorni per la verità, La promessa). Trascinato da una vicenda che rapisce la mente e la relega ad una sorta di piacevole e salutare sindrome di Stoccolma cinefila, sorretto da un impalcatura tecnica e fotografica che regala immortalità di celluloide all’algido panorama montagnoso, e riporta così d’attualità le inquadrature e il tocco registico tanto caro all’autore de Lo sperone nudo e Dove la terra scotta, Into the wild stupisce perché è in grado convincerti proprio quando ti aspetti lo scivolone retorico. Nel tracciare gli aspetti caratteriali del vent’enne McCandless, Penn evita abilmente di cascare nella facile e allettante trappola del ritratto compiaciuto e santificante e, pur giocando con sfumature cristologico-religiose (la donazione di ogni avere materiale, la scelta di trasformarsi in una sorta di eremita on the road o la rinuncia dei rapporti carnali), riesce nell’impresa di palesare a tutto schermo pregi e altrettanti difetti terreni di un ragazzo, che lascia un profondo e doloroso solco nel cuore di una famiglia imperfetta prima, e negli affetti incontrati lungo tutto il suo viaggio poi, per inseguire la sua strada e andare incontro al suo destino. Ma oltre che un film fatto di sottotesti e paralleli (tanto semplice quanto meraviglioso quello tra natura incontaminata e civiltà urbanizzata. Libera e accogliente la prima, sospettosa e relegante allo status di barbone la seconda), Nella natura selvaggia è una pellicola dominata in lungo e in largo da una straordinaria prova attoriale fatta di corpo ed emozioni, offerta dal giovane e più che talentuoso Emile Hirsch, qui nel ruolo della sua consacrazione dopo le già convincenti prove in Lords of Dogtown e Alpha Dog. A vederlo così, meriterebbe almeno quattro, sacrosante, nomination per le prossime statuette dorate: miglior film, miglior attore protagonista, miglior sceneggiatura non originale e miglior colonna sonora. Il tempo dirà se avremo avuto ragione o meno. Per chi scrive, però, Into the wild ha vinto comunque. Di capolavori del genere, fatti di parole, immagini e musica, non se ne vedevano da tempo.
“Più che l’Amore, i Soldi, la Fama, datemi la Verità”.
Henry David Thoreau.
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