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e (ancora per poco) sulla pagina del vecchio dominio

CRONACHE DA VENEZIA 2011

A cura di Alessandro Tavola

Non infastidirebbe aprire con quest''immagine (in preview in versione foot fetish) di Vallanzasca - gli angeli del male se non fosse così già vista ovunque e, soprattutto, se c'entrasse qualcosa, col suo riecheggiare Romanzo Criminale (bien sur, è marketing), con l'ultimo film di Michele Placido, quando invece non c'entra nulla. Buffo che il suo miglior film almeno degli anni 2000 non sia stato (per sua esplicita richiesta) piazzato in concorso, peraltro col presidente dallo sguardo più oggettivo che si possa avere.
Vallanzasca è un film-ritratto (astratto, come un Marie Antoinette o un Il divo), che dal dovere narrativo scava e delinea contorni, nella spirale di (av)ven(im)e(nti) descriventi: "bello e dannato", questo è il soggetto, duplicemente affascinante, pura evocazione ed invocazione (Kim Rossi Stuart è qui Fascino) in rotazione di fatti che solo servono ad arricchire, nell'inseguimento di un ideale, di "quel" sentimento (personaggio) e non come in uno stracazzo di documentario. Ed è la crociata di Placido, che anche in Il grande sogno, allampava e indignava chi a destra e chi a sinistra, per il suo essere semplicemente un Dreamer.

E, chi scrive, ha fatto qualche errore di traiettoria, convinto non ci sia alcun DC9 di mezzo: niente François Ozon, film sorpresa (The ditch di Wang Bing, che pare aver colpito Dario Stefanoni con un romance at short notice) o Vincent Gallo regista (avendo pur semiamato quello attore con Skolimowski), tutti persi per motivi differenti. Nessun rimpianto, per il momento, presi da altri traumi.

Perchè trauma è, e dovrebbe essere una nuova sospensione della giudicabilità, I'm still here di Casey Affleck: indecisisione tra il prenderlo come un cine-oggetto o una video-cosa, un finto documentario o un documentario su una finzione, un grezza e sincera confessione mascherata o un perfetto joke. O tutto ciò. Giudicare la perfomance di Joaquin Phoenix o farsi inondare dal suo strazio aprioristicamente. Nel primo di questi casi, faremmo 3 passi nella disumanità (a braccetto con Larrain), anche perchè la regia di Casey Affleck sarebbe puro disturbo e tortura (ondeggiando tra il signifcato buono e cattivo del termine), una delizia sadomaso per l'occhio puramente voyeur (e, forse, ancora una volta è solo qui la soluzione), in un corto circuito ancora senza riparazione.

Tornando a qualche giorno fa con La passione, a un anno fa con Soul kitchen e a diversi anni precedenti con i film di statunitensi qui in vetrina (Elizabethtown, Il diavolo veste prada), alcuni film che in sala sarebbero (a)criticamente maltrattati (non stiamo parlando di noi), qui invece vengono osannati e idolatrati per tutta la loro durata come la pioggia nel deserto o lo sbarco degli alleati. E in un'annata dalle alte vette di disumanità glaciale, anche Danis Tanovic con Cirkus Columbia fa questo (leggero) effetto, stimolando affetto, e una qualche non meglio descrivile forma di relax. Ma nulla più (cari teorici della commedia).

Non danneggia nessuna sinapsi invece (anzi, è pura stamina) Jan Svankmajer con Surviving life, che sta lì, su piedistalli di cartone come troppi maestri dell'animazione, a ricevere onori festivalieri e dar vita a nuovi piccoli gioelli, come, appunto Surviving life: spender parole sarebbe mera descrizione (ed è per questo che dal film è tratta l'immagine d'apertura di questa pagina) perchè i film di Svankmajer andrebbero visti e basta, tacendo, per togliere un po' di disincanto ai gondrymani (e) youtubiani d'oggi.

E un bacio a voi tutti.

 

07 settembre 2010

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