THE MEN WHO STARE AT
GOATS
REGIA: Grant Heslov
SCENEGGIATURA: Peter Straughan
CAST: George Clooney, Ewan McGregor, Kevin Spacey
ANNO: 2009
A CURA DI DARIO STEFANONI
VENEZIA 09: GOATS DURING WARTIME
Negli USA dei primi reaganiani anni '80, un certo generale maggiore Albert N.
Stubblebine III condusse diversi esperimenti segreti per conto del governo,
atti ad introdurre le potenzialità dell'ESP (Extra-Sensory Perception) in
ambito militare. Tra il 1981 e il 1984, presso Fort Meade, si lavorò così
alla possibilità di integrare alle tradizionali tecniche di combattimento
pratiche di telepatia e di controllo mentale capaci persino, secondo
Stubblebine, di rendere possibile l'attraversamento di muri grazie alla sola
forza del pensiero. E' precisamente a partire da questa bizzarria della
storia militare statunitense che si snoda The
men who stare at goats, tratto dall'omonimo libro di Jon Ronson e largamente ispirato a fatti realmente accaduti quasi
trent'anni fa. Grant Heslov, già
cosceneggiatore di Good night, and good
luck, coglie l'occasione per farne una satira antimilitarista allucinata
e dissacrante, tra i film in assoluto più spassosi visti all'ultima Mostra
veneziana. Scisso in due distinti tessuti spaziotemporali, racconta via
flashback la fondazione e la prematura fine della New Earth Army (l'unità di
sperimentazioni paranormali dell'esercito, così simile all' Unità spie
psichiche realmente fondata da Stubblebine nell'81), intrecciandovi al
contempo la cronaca di quel che ne rimane vent'anni dopo, ai tempi della
“giustizia infinita” secondo Bush.
Tutto costruito sullo spiazzante cortocircuito tra la cultura lisergica di
questa sgangherata avanguardia new age strafatta di lsd e la robotica
grettezza della burocrazia e delle gerarchie militari, il grottesco apologo
di Heslov mette in scena generali
altrimenti rispettabili nel tentativo di attraversare di corsa una parete
(come nell'impagabile incipit), e strambi marines-hippies intenti a fissare
insistentemente criceti e capre per fermar loro il battito cardiaco (da qui
l'esilarante titolo); tutto, s'intende, con la sola forza del pensiero. Il
tronfio apparato militaresco esce così ridicolizzato, smitizzato, sanamente
svuotato delle sue componenti virili e machiste, in una sorta di M.A.S.H dei nostri giorni, con l'Iraq
al posto della Corea e una buona dose di (auto)ironico wit postmoderno a
prendere il posto della goliardia sovversiva (e segretamente disperata) di Altman.
A questa vena iconoclasta e obliquamente antiautoritaria si lega anche
un'affettuosa caricatura di Guerre
Stellari, chiaramente omaggiato in più punti (le spie psichiche si
chiamano J.e.d.i. e sono mosse da un'oscura Forza), quasi un tentativo
controculturale e pacifista di riappropriarsi in modo naif di un brandello
d'immaginario ai tempi strumentalizzato in senso imperialista da Reagan (che titolò Guerre Stellari il suo programma di
Scudo Spaziale anti-sovietico). A questo versante più ludico-citazionista
appartiene anche la ricca fauna attoriale: George Clooney (anche produttore), Ewan McGregor, Jeff Bridges
e Kevin Spacey sono tutti impegnati
in interpretazioni ammiccanti che alludono, in un divertito e contorto gioco
di ruolo, alle maschere cult che li hanno resi celebri. Se Clooney riprende per espressività i
personaggi stralunati pensati per i
Coen e Bridges rifà
spudoratamente Il Grande Lebowski
per dar vita al leggendario Bill Django, peraltro con un carisma non lontano
dall'originale, allora sarà logico che anche McGregor/Kenobi si ritrovi in un'amichevole parodia della saga
lucassiana a domandare (finto)ingenuamente cosa siano i guerrieri Jedi e Spacey vesta i panni di un antagonista
sfacciatamente iperbolico, novello Darth Vader, ricollegandosi così alla
lunga galleria di villains cattivi fino al midollo per cui è diventato
celebre, da Seven a Superman Returns.
The Men who stare at goats non è
solo una gioiosa boutade all-stars o una disincantata derisione pop, ma è
anche una commedia avvincente, ben scritta e congegnata, dai tempi comici
perfetti pure quando la narrazione resta sospesa e imbarazzata (cfr. la
tranche irachena con McGregor e Clooney, roadmovie without a road),
intrisa di uno humour surreale, scomposto, coeniano, che procede per gag
geniali e improbabili (p.e. un incidente automobilistico nel mezzo del
deserto). Sì, l'evidente fondo amaro dice molto anche sul decrepito sogno americano,
fagocitato dall'addiction guerrafondaia, ma per una volta la vera danza del
film, grossolana e provvisoria quanto si vuole, è ancora in superficie, come
una comica slapstick sull'ostinazione a credere nell'impossibile, un what if
fanciullesco e paradossale (che succederebbe se affidassero l'esercito a
Timothy Leary?), il tentativo spensierato di riderci su.
(12/10/09)