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LIFE DURING WARTIME

REGIA: Todd Solondz
SCENEGGIATURA: Todd Solondz
CAST: Ally Sheedy, Gaby Hoffmann, Michael Lerner
ANNO: 2009

 

A CURA DI DARIO STEFANONI


VENEZIA 09’: “TI MANCA LA VITA?”

Meritatamente premiato dell'Osella per la miglior sceneggiatura, Life During Wartime svela i destini della famiglia Jordan a undici anni di distanza dalla prima, devastante cronaca familiare di Happiness. Più che un sequel si direbbe una lieve ridefinizione dell'originale, apparentemente dissimile ma intimamente e tragicamente identica per le meccaniche affettive che la muovono, destinate a ripetersi inevitabili e irreversibili.
Diversi sono alcuni volti, come in un enigmatico scambio di ruoli buñueliano o un imperfetto ritorno nietzschiano-lynchano falsamente circolare, à la Lost Highway, con nuove maschere attoriali dai lineamenti ispessiti come caricature grottesche, forse solo deformate dalla disperazione e dalla vecchiaia (è il caso di Ciaràn Hinds e Shirley Henderson che sostituiscono rispettivamente Dylan Baker e Jane Adams). Diverso anche il milieu di questo secondo gioco al massacro, dall'ordinario New Jersey ci si trasferisce alla solare Florida, regno della “dittatura del centro commerciale” (Solondz dixit): le tre sorelle vi cercano vanamente rifugio dai rispettivi traumi- chi da un rimosso troppo ingombrante (la rovina familiare di Trish), chi da corteggiatori molesti e mariti suicidi (i fantasmi di Joy), chi dall'ossessione della fama (la lamentosa insoddisfazione di Helen) per approdare a un comune fallimento affettivo e esistenziale, assetate di una “normalità” che le consoli dopo la tragedia, imbottite di psicofarmaci e anestetizzate dall'ipocrisia di questi tempi di guerra

I toni di Solondz sono noti: colori saturi e plastificati, quadretti e situazioni apparentemente televisive, da soap opera scaduta, subito ribaltate nel loro opposto grazie ad una scrittura finissima e raggelante, ad uno scavo psicologico iperrealista e ad uno studio delle miserie umane minuzioso, clinico, da entomologo. Abbandonate le sfumature fiabesche da strambo Bildungsroman del meraviglioso Palindromi, Solondz ritorna al grottesco ritratto di 'gruppo di famiglia in un inferno' che aveva già fatto la fortuna critica di Happiness, tassello imprescindibile della poetica solondziana (nonché uno dei film più spietati e urgenti degli anni '90). Come in precedenza, al centro della dissezione chirurgica del marcio discreto della borghesia svettano l'incapacità di comunicare, l'ansia di fallire, la paura della solitudine e i sensi di colpa che divorano tutto. Conversazioni incapaci di toccarsi (“Ti manca la vita?” “Mi manca la mia collezione di laser discs”) e sentimenti che faticano a riaprirsi (“Saresti felice con me?” “Il posacenere che mi avevi regalato era bello”) percorrono il caustico ritratto di un'istituzione familiare ormai decrepita, retta solo da bugie e puritanesimi. Al pari di Happiness, ritroviamo quella stessa epica del tragicomico, sottolineata da stridenti arie liriche, e quegli stessi anfratti familiari paradossali e sconsolati, dove si può vedere una casalinga apparentemente realizzata e felice rinnegare la propria maternità (“I figli? Un branco di lupi”) o una bambina che empatizza con le carote che si ritrova nel piatto, solo perchè, spiega la madre, le hanno aumentato la dose di ansiolitico. Solondz, sette film in vent'anni, ritorna al suo prediletto circo di figure depresse e fallimentari, in fondo solo mostruosamente umane, mettendole a nudo grazie ai loro stessi dialoghi acuminati (vero cuore del suo cinema).
Per quanto ne ricalchi calligraficamente l'incipit, sarebbe però limitante ridimensionare quest'ultima opera a mero sequel di Happiness: Life during Wartime è infatti opera godibilissima anche per chi ignori l'originale, capace com'è di svelarsi quale profonda e amara riflessione sulla difficoltà di dimenticare le tragedie e/o di perdonarne i responsabili, possa trattarsi dei kamikaze suicidi dell' 11/09 o di un padre pedofilo che torna dal carcere a distanza di anni. Solondz, coraggiosamente, non offre risposte posticce nè assiomi già pronti all'uso, non scade né nell'innocua satira di costume né nel filmetto a tesi; si limita piuttosto a seguire i personaggi con una vicinanza sorprendente, ne registra umori e meschinità con una precisione impeccabile, descrivendoli a tutto tondo nella loro detestabile e fragile umanità e dando loro una vividezza e un respiro rari nel cinema contemporaneo (dove sono ridotti sempre più a inerti pedine schiacciate da sterili teoremi di scrittura o da spettacolari fiere di pura Cgi). Appena più spensierato dei precedenti cupissimi episodi solondziani, Life during Wartime è graziato da alcune suggestioni liricheggianti (forse d'ascendenza Palindromiana) che da sotto la coltre di feroce sarcasmo si aprono ad una leggerezza poetica e a brecce improvvise e stranianti come le apparizioni ectoplasmatiche degli amanti di Joy, tra il vendicativo e il confuso, o il bambino che con fare disinvolto offre caramelle in direzione della mdp, a noi spettatori. Life During Wartime è, insomma, l'ottima conferma di uno stile ormai pienamente riconoscibile, fatto di personaggi memorabili e di dialoghi asciutti e brucianti, capace di far rilucere il privato di verità universale.
L'ennesima rasoiata di Solondz.

 

(20/09/09)

 

 

 

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