FALLING

REGIA: Barbara Albert
CAST: Nina Proll, Birgit Minichmayr, Gabriela Hegedüs
SCENEGGIATURA: Barbara Albert
ANNO: 2006


A cura di Davide Ticchi

VENEZIA 06’: IL GRANDE FREDDO

Cadere, rialzarsi e ricadere. Il leitmotiv è semplice, limpido e conciso; tutto sta nel saperlo arrangiare con le corde emotive in possesso dell’autore, in questo caso autrice, che intende riesumare tale modello esistenzial-interpersonale dal passato sotterrato. Questo è quello che, intrinsecamente alla scrittura filmica, accade anche alle cinque donne protagoniste di Falling, opera seconda della regista viennese a venire presentata in Laguna. Quello che riunisce queste anime disperse per il mondo è infatti l’occasione del funerale di un loro vecchio professore, spunto realista e cordoglioso per il combattuto intraprendere, insieme, un nuovo percorso di ricucitura con le altre e con sé stesse. E quale miglior mezzo del viaggio, per riallacciare i rapporti con l’ambiente, la scoperta e la genuinità sentimentale e quindi interpersonale. Le nostre tagliano l’Austria in cerca di un equilibrio e quindi di un microcosmo ideale da abitare per la commemorazione e la ripresa degli insegnamenti concessegli dal professore e dalla vita, come in un lento peregrinare verso continue mete maturazionali e generazionali. Infatti se l’età di ognuna si aggira sulla trentina d’anni, quella della figlia di Nicole, carcerata in libertà auto-concessa, non supera la soglia dell’adolescenza, con conseguente rappresentazione degli spontanei e turbolenti moti neo-sociologici. Dopo tredici anni le amiche si rincontrano e le piccole antipatie vengono ancora manifestate, frutto di pregiudizi lavorativi e sentimentali, poste dinnanzi alla consistente fetta di passato che le accomuna. I tempi sono cambiati e i sistemi educativi pure, così mentre la piccola Daphne ascolta musica punk e metal con altri coetanei, le ex compagne di classe preferiscono la sbronza acustica delle sonorità discotecare, la riemersione dei vecchi discorsi e sentimenti che le hanno tracciate come attuali donne moderne.
Barbara Albert conosce ognuna da una decina d’anni, e sentiva il bisogno di ripercorrere le tappe fondamentali di questo viaggio interindividuale attraverso l’ovvia metafora del viaggio, anche se non così puerilmente viene affrontata nel suo film. Di grande valore è il tocco, il tatto sensibile che utilizza nella caratterizzazione cinematografica dei suoi personaggi/amiche, e nella scrittura di una storia dalle tinte sobrie e percepibilmente vissute. Se il quadro filmico si riserva un meritorio posticino tra i film introspettivi e nostalgici (insieme a Il grande freddo, L’ultimo bicchiere e Le invasioni barbariche), dove l’amicizia diventa legame da riconquistare, anche di senso, è come se a tratti inciampasse in un’eccessiva ed incessante ricerca di elementi di rottura, come quelli del ballo nudo in discoteca o dell’ostentazione dei frequenti conati di vomito di Nina. La musica pompa improvvisamente, alla maniera di Fatih Akin, e quell’intimismo suggerito da scenari quotidiani e dialoghi di irrequieta riservatezza vengono offuscati da una patina postmodernizzante e convenzionale di piacevole ma mancato acume psicologico. Il viaggio prosegue, nonostante tutto, e le strade di ognuna si sgrovigliano ancora, fino a fare ritorno sulle tracce delle nuove generazioni, riprese mentre a scuola discutono della situazione economica sul pianeta terra.
Barbara Albert è regista capace di impiegare buoni propositi in ogni suo lavoro, registico o di sceneggiatura che sia, di formalizzarlo con grande fluidità narrativa e candore stilistico raro a riscontrarsi in opere simili. Resta dunque la sensazione di avere assistito ad un grande film “raffreddato” da una strada alternativa e fuori contesto intrapresa troppo presto dalla Albert, come in un’apologia dell’eversione dai sintagmi classici del genere, sempre e comunque fortemente intimista.

 

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(13/09/06)

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