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DEV.D

REGIA: Anurag Kashyap
SCENEGGIATURA: Anurag Kashyap, Vikramaditya Motwane
CAST: Abhay Deol, Mahie Gill, Kalki Koechlin
ANNO: 2009

 

A CURA DI TOMMASO BARBETTA

 

VENEZIA 09’: CHUNGKING INDIAN EXPRESS

Sono/siamo/siete dei fottutissimi ignoranti. Sguazziamo nel nostro fango intellettuale privo di alcun valore, nel nostro mondo culturale chiuso su se stesso e barricato dietro porte blindate dal pregiudizio. Pensiamo di fare buon cinema, pensiamo di essere i migliori, pensiamo di essere i più forti. Tutte cazzate. Un film indiano? Che palle sti film di gente che balla a vanvera senza motivazione! E invece no. Entriamo svogliati a vedere Dev.D e all'uscita dalla sala una grande domanda inizia a saltellare qua e là nel nostro cervello. Perché da noi non si fanno film così? Possibile che in India Anurag Kashyap sia stato in grado di fare ciò i nostri registi made in Italy non riescono e non riusciranno mai nemmeno a immaginare?
Scendiamo un attimo dal trono. Dimentichiamoci per un attimo di essere i migliori, di essere italiani, di essere europei, di essere occidentali. Dimentichiamoci tutte queste cazzate. Effettuiamo il LOG OUT e resettiamo il sistema.


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Dev.D è una storia d'amore, d'ascesa, di declino, di vita, di morte, ma sopratutto Dev.D è una e una cosa sola: un film fighissimo. Ultrapop, ultracolorato, ultraconcitato, ultramusicale, persino malato, in ogni caso, incatturabile, sempre pronto a sfuggire, a sorprenderti nel suo spezzare convenzioni narrative, nel suo concepirsi algoritmo già post-postmoderno, con ibridismi al neon che sanno di altra dimensione, altri spazi (altri tempi), sicuramente altro Cinema, che ci ricorda perché amiamo così tanto gli Alieni e perché sogniamo di essere rapiti da loro. Siamo catapultati in una giostra per adulti in un’ inedita India cosmopolita dove non si smette mai di correre: si danza e si canta, sempre, anche se l'oblio è a un passo da noi - DANCE DANCE DANCE! - ma anche FUCK FUCK FUCK! perché il sesso è ovunque, nascosto in ogni fotogramma del film, ed è ciò che sconvolge la vita di ognuno dei tre protagonisti. Non che sia un film pansessualista, al contrario viene dipinta un'India sessofobica, che mette alla gogna mediatica ogni atto considerato illecito e disonorevole. Talmente disonorevole da spingere la gente al suicidio. Ci si sente sporchi, ci sentiamo sporchi, e così fuggiamo senza capire, fuggiamo senza capirci. Aveva ragione Forster (autore di Passaggio in India): noi esseri umani non saremo mai in grado di comunicare né con gli altri membri della nostra stupida razza, né con noi stessi. Basta un niente, una piccola incomprensione, e la ruota del destino inizia a girare. Di colpo ci ritroviamo adulti, pippiamo, beviamo, ci prostituiamo e siamo dannatamente infelici.
Memories of Matsuko, memories of Dev, memories of Paro, memories of Chanda. Tutto accade in un preciso momento della nostra esistenza, il momento più pericoloso, il giorno in cui ci innamoriamo. Bisogna stare attenti, sempre con gli occhi ben aperti, perché quando succede, ovvero quando riusciamo a toccare il cielo, proprio in quell’attimo, cominciamo una drammatica discesa e, come un aereo in fiamme, precipitiamo a tutta velocità. Cazzo se sembra una legge della fisica.


3 secondi all’impatto,

2 secondi all’impatto,

1 secondo all’impatto.


Un nuovo cinema è arrivato, un cinema che va al di là delle convenzioni stilistiche bollywoodiane superandole ed evolvendole. Kashyap è riuscito a prendere gli elementi migliori della produzione cinematografica occidentale (la fastosità kolossale, le panoramiche che richiamano respiri ultra-epici quasi da soffocamento emotivo, l’enfasi degna del miglior romance (non solo) adolescenziale, la pulizia del classico sofisticato, la sporcizia dell’underground più marcato, spicchi (o specchi?) di montaggio da Mtv in evoluzione) e a fonderli con la grande tradizione del musical indiano (quella si, di un manuale che non ci è ancora concesso sfogliare). Ha fatto esattamente il lavoro inverso rispetto al tentativo condotto da Danny Boyle per il suo Slumdog Millionaire (il cui primo inseguimento è per altro ispirato ad una scena di Black Friday, film d’esordio di Kashyap), ma con un risultato decisamente migliore e sicuramente molto più interessante rispetto alla pappetta riscaldata e all’India for dummies del regista inglese. Là dove il film di Boyle mostrava una storia di rivalsa, di un povero e innocente fanciullo che riesce a raggiungere il successo grazie a un gioco televisivo, il film di Kashyap ci sbatte in faccia la vita di un ricco viziato e di una pompinara che è riuscita a distruggere la propria famiglia. Là dove Boyle semplificava, applicando la filosofia dello stereotipo "è tutto già scritto", “affidiamoci al destino”, “il grande amore”, "buoni vs. cattivi", e dunque mescolando il peggio dei plot hollywoodiani e bollywoodiani, Kashyap amplifica le radiazioni (visive, uditive, sensitive) intrecciando storie (del Cinema, della vita, del film) e articolandole in un miscuglio letale, un pulsare di vita in celluloide che ci ricorda la stessa sensazione di quando abbiamo sentito i Beatles per la prima volta nella nostra esistenza.

Non un film in linea con la tradizione di Bollywood, né un film girato alla maniera occidentale (come invece lo è per esempio No Smoking). Un film, punto e basta. Un gran film.

 

(06/10/09)

 

 

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