COEURS: PRIVATE FEARS IN PUBLIC PLACES

REGIA: Alain Resnais
CAST: Sabine Azèma, Lambert Wilson, Laura Morante
SCENEGGIATURA: Jean Michel Ribes
ANNO: 2006


A cura di Pierre Hombrebueno

VENEZIA 06’: APPUNTI MENTALI SU COEURS DI ALAIN RESNAIS

Una macchina da presa che vola dal cielo, l’occhio del Cinema, in questo senso divino, descrittivo ma penetrante tra nuvole ed edifici. Ed eccola , la bellezza panoramica di una Parigi che diventa forma e spazio della magia, del fiabesco che si tinge di neve bianca (elemento filmico da perfetta “c’era una volta”) come l’avvolgente purezza cromatica della fotografia ripulente e correttore di sgranature. E proprio ri-citando il “c’era una volta”, veniamo collocati in nessun tempo (e di conseguenza: in tutti i tempi), tra ieri, oggi, e domani, esattamente nel fascio infinito della vita. Come un'onda potente/stravolgente, ultra-terrena, ecco la retina filmica che restringe la sua visione per concentrarsi (e concentrarci) su un appartamento vuoto, in affitto. E non è puramente casuale questa prima ambientazione che riusciamo a penetrare, perchè in fondo Private fears in public places non è che un'opera di case vuote (si, ri-citiamo Kim Ki Duk), di appartamenti in cerca del primo affittatore per poter essere finalmente abitata. Ma purtroppo, è appunto solamente un "affitto", e nel momento in cui colui che ci abita decide di cambiare dimora, la casa rimane nuovamente vuota, forse per sempre stavolta. Quindi, di nuovo il ciclo dell’esistenza, dell’amore e della solitudine, una strada continuata nella linearità, tantochè l’autore francese ha scelto come opzione le azioni corali, il ritratto di diversi personaggi riflessi nei problemi quotidiani contro la solitudine.
Infine, Coeurs come cuori. E in quanto cuori, inganni, per ritornare al caro e vecchio detto: le cose non sono come sembrano. Ma è vero anche il contrario in questa nuova opera dell'ex rive gauchiano Alain Resnais: le cose sono esattamente come sembrano. Fluide, chiare, nonostante ogni possibile filtro (forse una nevicata infinita) e condizione. Alain Resnais, 84 anni, vivo e vegeto, non ancora rimbambito, confeziona un film incaptabile e polisemantico nonostante il suo (apparentemente?) intreccio trasparente. Semplicemente, citando il suo amico Jean Luc Godard: non è piu' tempo di agire da un pezzo. Ora è tempo di pensare. Per questo gl'anni innovativi dello storico Hiroshima mon amour sono semplici fantasmi (viventi) davanti a questo Coeurs; Resnais ha lasciato alla gioventù l'approfondimento spazio/temporale per dedicarsi a qualcosa che va oltre: il cuore, appunto. E in quest'opera sono tanti i cuori che s'intrecciano, cuori avvolti dalle nubi e dalla mancanza di affetto. C'è chi ogni sera sta al bar aspettando un possibile amante cosmico, chi si consola vedendo videocassette pornografiche, e ancora chi lancia annunci su internet per dare una svolta sociale alla propria vita amorosa. Una solitudine che Resnais non guarda mai né con compassione né con enfatiche metodologie emotive. Lo stile è secco, francesismo classico che ogni tanto si concede di ricalcare linguaggi puramente teatrali, come una sorta di Rohmer che incrocia Truffaut e scavalca Altman. E in quanto Altman, Paul Thomas Anderson, però senza rane, ma semplici nevicate (neve come freddezza, come brezza cupa, come congelamento di sentimenti). Coeurs è un sovrapporsi continuo senza toccarsi realmente mai, evidenziando forse una sorta di pessimismo nell'analisi dell'incomunicabilità nella frustrazione della vita borghese. Con questi personaggi una volta eccentrici (Sabine Azèma), una volta sull'orlo di una crisi di nervi (Laura Morante). La stabilità diventa semplice utopia, che sia per caso che sia per volontà, con questi ectoplasmi designati dall'autore in modo tremendamente amabili. Forse solo una dimostrazione che siamo esattamente come loro, ed è proprio questa la cosa più paurosa. In questo film si ride più volte, quell'ironia sottile ma funzionale, a volte grottesca. Ma attenzione, una volta mi sono sentito dire "Non ridiamo con te. Ridiamo di te".
Scrutiamo quel cielo morbido e limpido, forse per incrociare il destino tra le stelle, oppure l’attimo di una vita vissuta in pienezza, lievitando nel blu cinematografico tangente alla tristezza (e in questo Resnais annulla subito il primo rischio: farsi modellare dal medium originario, ovvero l’opera teatrale di Alan Ayckbourn), soffice distensione bianca di emozioni sensitive, senza intellettualismi inutili ma semplice umanità scavante del cuore. Dei cuori.

 

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(13/09/06)

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